I giovani incontrati dalle Caritas nel 2018

Nel corso del 2018, i giovani tra i 18 e i 35 anni che si sono rivolti alla Caritas sono stati 1.155, il 44,8% di loro non aveva mai chiesto aiuto alla Caritas prima.
I giovani rappresentano il 23,8% delle persone incontrate. I ragazzi sono 639 (55,3%), le ragazze 516 (44,7%).
Se si considerano le persone incontrate per la prima volta dalle Caritas nel 2018, i giovani rappresentano il 30%. Se si guardano i dati complessivi, invece, sono diminuiti; in particolar modo nelle Caritas parrocchiali, passando dal 68% al 63% in 2 anni. Mentre, sono aumentati nella Caritas diocesana di 4 punti percentuali, assestandosi al 36,4% del totale.
Ma se i giovani diminuiscono, i bisogni che esperiscono e i disagi che esprimono aumentano e si fanno più complessi. La povertà non ha mai un solo volto, e la solitudine, le difficoltà lavorative, le fragilità familiari e sanitarie, spesso si combinano e si sovrappongono, creando ampie zone d’ombra. L’esperienza della Caritas dimostra che non esiste quasi mai un solo ed unico problema, bensì quadri di disagio non facilmente definibili e interpretabili. La povertà è un fenomeno sfumato, la cui intensità non sempre corrisponde all’entità oggettiva della deprivazione, ma da un insieme di variabili soggettive e di contesto, che possono contribuire a rendere più o meno tollerabili o ad aggravare le diverse situazioni di povertà e disagio sociale.

Il profilo socio-anagrafico

Il 55% dei giovani che nel 2018 si è rivolto alla Caritas lo aveva già fatto in passato, mentre per gli altri si è trattato della prima volta. Si tratta di una quota (45%) significativamente più elevata rispetto al totale delle persone che per la prima volta hanno chiesto aiuto alla Caritas (37,3%). Infatti, prendendo in considerazione i “nuovi arrivi” complessivi, si scopre che 3 su 10 sono giovani dai 18 ai 35 anni. La maggioranza dei “nuovi” giovani sono stranieri (3 su 4), ma fra gli italiani l’incidenza è maggiore (57% contro 43%).
È interessante notare che tra gli stranieri che nel 2018 hanno chiesto aiuto alla Caritas per la prima volta prevalgono i profughi e i richiedenti asilo, provenienti da Afghanistan, Pakistan, Guinea, Nigeria, Camerun e Gambia. La fine del periodo di accoglienza nei progetti rende questi giovani estremamente vulnerabili: si ritrovano soli in un paese straniero di cui conoscono poco la cultura e la lingua, senza un posto dove stare e, in molti casi, nemmeno la possibilità di lavorare a causa di problemi burocratici legati ai documenti. In queste condizioni, è molto difficile iniziare una nuova vita dopo essere scappati da povertà, guerre e instabilità politica o catastrofi naturali.
Continua, coerentemente con quanto rilevato negli anni precedenti, la tendenza all’aumento di presenze maschili: i giovani uomini incontrati nel 2018 sono il 55,3%. La crescita è probabilmente da attribuirsi sia all’aumento di richiedenti asilo, sia alla disoccupazione che ha penalizzato maggiormente i maschi, i cui tassi di attività sono da sempre più alti di quelli della controparte femminile. Gli uomini sono la maggioranza sia tra gli italiani (56,8%) che tra gli stranieri (56%), mentre tra i giovani con doppia nazionalità prevalgono le ragazze sono 4 su 5.
Sono soprattutto i giovani adulti ad essere vulnerabili: l’età media di coloro che chiedono aiuto è di 28 anni e mezzo, più di 8 su 10 hanno tra i 25 e i 35 anni. Segno che l’incerto e faticoso ingresso nell’età adulta li rende estremamente fragili. L’uscita dalla casa dei genitori, la ricerca del primo lavoro, la formazione di una propria famiglia, fanno emergere difficoltà economiche e relazionali che spingono i giovani a rivolgersi alla Caritas. I più “anziani” sono gli italiani e le donne, con un’età media di 29 anni, rispetto ai 28 degli stranieri e dei giovani uomini, divario che rimane comunque piuttosto contenuto.

Nel 2018 si è assistito all’aumento della quota di giovani italiani che si rivolgono alla Caritas, che passa dal 16% del 2017 al 19,7%. Gli stranieri (904, provenienti da ben 48 paesi differenti) rimangono comunque più numerosi, anche se si è verificata una diminuzione rispetto al passato. Ci sono poi 24 giovani (2,1%) con doppia cittadinanza. Si tratta di persone provenienti dal Sud America, che avendo un parente italiano, hanno ottenuto la cittadinanza sulla base dello ius sanguinis, e giovani di seconda generazione, originari soprattutto dei paesi dell’Europa orientale e del Marocco. Tra questi 24 giovani si registrano anche casi di percorsi di adozione o affido andati male, abbandoni e conflittualità con le genitori adottivi, passaggi da una famiglia affidataria all’altra, che portano a vissuti di grave esclusione e situazioni di tossicodipendenza e marginalità.

I giovani italiani e resindenti a Rimini

I giovani italiani che nel 2018 hanno chiesto aiuto alla Caritas sono 227, dato che equivale al 19,7% del totale dei 18-35enni, costituendo così il gruppo nazionale più numeroso ad eccezione del Marocco (20,1%). Nonostante negli ultimi anni i giovani italiani siano diminuiti in termini assoluti, la loro incidenza sul totale del campione ha visto un progressivo aumento, crescendo del 4,4% soltanto negli ultimi due anni.
Si tratta di 129 uomini (il 56,8%) e 98 donne (43,2%). L’età media, che si attesta a 29 anni, è leggermente più alta di quella del campione complessivo: il 52% si concentra nella fascia di età che va dai 25 ai 35 anni, con un ulteriore 30,8% di età compresa tra i 20 e i 24 anni.
Sono numerosi coloro che nel 2018 si sono rivolti alla Caritas per la prima volta. Si tratta di 129 persone, il 56,8% del totale dei giovani italiani, più di 10 punti percentuali in più dei “nuovi arrivi” sul totale dei giovani. Di questi 129, 50 sono donne (il 38,8%) e 79 uomini (61,2%). Aumentano quindi i giovani italiani maschi che, tra l’altro, tendono ad avere un’età leggermente più elevata delle donne e a concentrarsi nelle classi di età più adulte.
La maggior parte dei giovani italiani sono celibi o nubili (68,6%), il 24,3% è sposato o convivente, mentre nel restante 7,1% dei casi si tratta di divorziati e separati. Tra gli uomini prevalgono nettamente i celibi, che raggiungono l’88,5%, mentre soltanto il 6,6% è sposato o convive con la propria partner. Le donne, al contrario, si distribuiscono in maniera più equilibrata tra nubili e in coppia, con una leggera prevalenza di queste ultime, rispettivamente il 40,9% e il 48,9%.
Il 42,1% dei giovani italiani incontrati vive solo, il 30,4% con i propri familiari e il 21,5% ha formato un nucleo con il proprio partner, con o senza figli. Si registra anche un 4,7% di giovani che vive con conoscenti e soggetti esterni alla propria famiglia. Sono le donne quelle che più frequentemente vivono in famiglia, che si tratti della famiglia di origine o di quella che si sono costruite: il 57,3% di loro vive con i propri familiari e un ulteriore 30,3% vive in famiglia di fatto. Sono solamente 11 (il 12,4%) le donne che vivono sole. Al contrario, gli uomini vivono soli per il 63,2%. Sono una minoranza quelli che vivono in famiglia: il 15,2% ha formato un nucleo con la propria partner e soltanto l’11,2% coabita con i familiari.
Dall’analisi dei dati emerge un ritratto dei giovani italiani che sembrano essere molto più soli rispetto agli stranieri. Questo è vero soprattutto per gli uomini: la solitudine e l’isolamento sono le principali criticità da fronteggiare. Può capitare di ritrovarsi in un limbo nel quale non si hanno legami, magari a seguito di una rottura dei rapporti familiari dovuta a litigi e incomprensioni con i genitori, soprattutto in un momento della propria vita in cui non si è ancora creato un nucleo proprio, vuoi per ragioni anagrafiche, vuoi per difficoltà finanziarie. L’emarginazione e la solitudine che consegue dal non avere nessuno su cui poter fare affidamento, rendono i giovani uomini italiani molto fragili e una delle principali motivazioni che li spinge a rivolgersi alla Caritas. Spesso la povertà relazionale che affligge questi giovani è originata da una situazione pregressa di degrado e deprivazione familiare. Le difficoltà e i disagi sfilacciano i rapporti umani, creando un circolo vizioso di povertà “ereditata”, tramandata di padre in figlio, da cui risulta estremamente difficile, se non impossibile emanciparsi.
Che i giovani italiani siano più soli degli stranieri è dimostrato anche dall’analisi delle situazioni di grave marginalità. Il dato sui senza dimora italiani ci parla di 104 persone, che rappresentano il 45,8% di tutti i giovani italiani, un’incidenza molto più elevata rispetto a quella del campione totale, e le situazioni di grave marginalità sono aumentate nel corso degli anni. Per quanto riguarda la composizione per genere, i senza dimora italiani sono 82 uomini (il 63,6% del totale degli uomini), e 22 donne (22,4%), entrambi in aumento.
Oltre alla solitudine, il lavoro risulta essere una delle principali dimensioni di vulnerabilità per i giovani italiani: si registra, infatti, un’incidenza di disoccupati (86%) superiore a quella del totale complessivo, dato che aumenta vertiginosamente prendendo in considerazione i soli uomini italiani, di cui il 92% è disoccupato.
Rispetto alle donne straniere, le italiane presentano tassi più alti di disoccupazione (77,5% contro 67,6%) e una quota più elevata di occupate (12,4% contro 5,6%), cifre che potrebbero indicare tassi di attività più alti tra le donne italiane, se si considera che le casalinghe rappresentano il 7,9% tra le italiane rispetto al 26,8% delle straniere.
Sui 227 giovani italiani incontrati nel 2018, i residenti nella provincia di Rimini sono 117 (51,1%), 67 donne (57,3% dei residenti) e 50 uomini (42,7%). Di queste 117 persone, sono 42 quelle che si sono rivolte alla Caritas per la prima volta nel 2018, una quota superiore al 40%. Si tratta soprattutto di giovani single (il 62,9% dei residenti), che vivono con i propri familiari (53%), anche se si registra una percentuale consistente di coniugati e conviventi (29,3%), oltre a giovani che convivono con il/la proprio/a partner (21,7%) o completamente soli (20,9%). Per quanto riguarda la condizione abitativa, i giovani italiani residenti a Rimini vivono per lo più in affitto da privato (48,1%) o da ente pubblico (12,3%), anche se dalla lettura dei dati emergono numerose situazioni problematiche. Il 6,6% dei giovani incontrati vive in una roulotte, in campi autorizzati e non, e il 4,7% di loro è ospite da parenti o amici. Entrando nello specifico delle situazioni di grave marginalità, si scopre che il 15,3%, 13 ragazzi e 5 ragazze, è senza dimora. Di questi, il 67% dorme in strada e un ulteriore 17% si arrangia con un domicilio di fortuna.
Prendendo in considerazione soltanto i dati relativi ai residenti nel comune di Rimini, si nota che gli italiani sono 57, il 25,1% dei giovani italiani incontrati, 31 uomini (54,4%) e 26 donne (45,6%) Di questi 57, 25 (il 43,9% degli italiani residenti a Rimini) si sono rivolti alla Caritas per la prima volta nell’anno appena trascorso. Dall’analisi emerge che 40 giovani riminesi (più di 7 su 10) sono celibi o nubili, dato che raggiunge un picco del 77,4% tra i riminesi uomini. È interessante notare che la quota di single è molto alta anche tra le donne (61,5%), in controtendenza rispetto a quanto emerge dai dati relativi al totale delle giovani italiane.
I dati sulla condizione abitativa ci dicono che il 52,6% dei giovani riminesi vive con i propri familiari, il 22,8% convive con il proprio partner, mentre il 19,3% abita completamente solo. Dato che sembra suggerire che la maggior parte vive ancora nella casa dei genitori, e che a prima vista potrebbe sembrare controintuitivo. Generalmente, infatti, nei casi di famiglie in difficoltà, a rivolgersi alla Caritas sono soprattutto i genitori, in particolare le madri. Inoltre, avere legami familiari ed essere radicati sul territorio, per questi ragazzi dovrebbe svolgere una funzione protettiva contro le difficoltà. Si è portati a chiedersi cosa abbia spinto questi giovani a prendersi la responsabilità della famiglia, quando sono ancora essenzialmente “figli”, recandosi in Caritas in cerca di aiuto.
Per quanto riguarda le situazioni di grave marginalità, si riscontrano 12 italiani senza dimora nel comune di Rimini, il 21,1% dei giovani riminesi, 3 donne e 9 uomini.

Giovani di seconda generazione e richiedenti asilo

I giovani stranieri rappresentano uno dei gruppi sociali non solo a maggiore rischio di povertà, ma anche di esclusione sociale. Fenomeno riconducibile, soprattutto per quanto riguarda le fasce di età più giovani, ad una marginalità “ereditaria”, dovuta alla situazione di svantaggio socio-economico che caratterizza molte delle comunità straniere presenti nel nostro paese. Alle fragilità dei ragazzi di seconda generazione si sommano le situazioni, più estreme, di chi arriva in Italia come richiedente asilo.
Il gruppo di stranieri più numeroso è rappresentato dai marocchini (1 straniero su 4, il 20% del totale), seguito da: romeni (11,7%), senegalesi (8,9%) e albanesi (8,8%); si tratta di nazionalità con percorsi migratori di lungo corso nel nostro paese. Tuttavia, dall’analisi dei dati, si riscontra un evidente incremento del peso di alcune nazionalità, con un significativo aumento di giovani provenienti dall’Asia meridionale e dall’Africa subsahariana. Sono profughi e richiedenti asilo, i cui profili socio-anagrafici tratteggiano situazioni di profonda e marcata vulnerabilità: molto spesso si tratta di uomini molto giovani, soli, disoccupati e senza dimora che, una volta terminati i progetti di accoglienza nei quali erano inseriti, si sono ritrovati senza un posto dove stare, un lavoro o un reddito, con i documenti scaduti e molte difficoltà nel rinnovarli. Molto basso risulta anche il loro capitale sociale e culturale, con numerosi i casi di analfabetismo o di modesta scolarità.
In modo analogo a quanto accade per gli uomini, tra le donne l’incidenza di straniere è pari a quasi 8 su 10. Le giovani migranti provengono soprattutto da Marocco (il 30,1% delle donne straniere), Albania (14,6%), Romania (11,5%) e Senegal (7,9%). Anche in questo caso, i dati coincidono con le nazionalità più rappresentate tra i giovani incontrati. Le comunità provenienti da questi paesi, che tradizionalmente hanno avuto storie di emigrazione verso l’Italia, si sono stabilite nel paese da tempo e ormai stabilmente, ed è dunque naturale riscontrare un certo equilibrio di genere.
Tuttavia, analizzando l’incidenza del genere per singola nazionalità, raramente si riscontra equilibrio tra uomini e donne, perché migrazioni diverse, da paesi differenti, hanno una propria specifica connotazione di genere, spesso molto marcata. Le donne costituiscono la maggioranza dei migranti che provengono dall’America Latina (55,6% degli accolti per questa area geografica) e dai Balcani (66,4%), aree dalle quali le migrazioni di natura economica hanno assunto un volto tradizionalmente femminile, seguite dal Nord Africa (51,9%). In quest’ultimo caso, si tratta perlopiù di mogli e madri che, attraverso i ricongiungimenti familiari, hanno raggiunto i coniugi che le hanno precedute, fenomeno che denota un progetto migratorio di lungo periodo con l’intento di insediarsi stabilmente nel nostro paese.
Al contrario, le migrazioni dall’Asia meridionale e dal Medio Oriente, così come dai paesi dell’Africa subsahariana (con l’eccezione del Senegal), oltre ad essere più recenti, sono fortemente connotate in senso maschile.
Tra gli immigrati: quasi la metà è rifugiato o richiedenti asilo, 1 su 5 è irregolare e 1 su 10 ha avuto problemi amministrativi e burocratici o è stato colpito da un procedimento di espulsione. Il 9% è in difficoltà, poiché, nonostante la giovane età, ha la responsabilità di mantenere la famiglia rimasta nel paese d’origine, con la conseguenza che non riesce a risparmiare per costruirsi una vita in Italia.

La povertà educativa

I livelli di formazione delle persone incontrate nel 2018 si confermano più bassi (soprattutto tra gli italiani) se confrontati con quelli della popolazione complessiva. I dati dunque confermano la relazione tra bassi livelli di istruzione e povertà ribadita: sono casi molto particolari, nei quali la povertà materiale si intreccia e viene esacerbata dalla mancanza di strumenti educativi e culturali per contrastarla.
Tra i giovani accolti prevalgono nettamente le licenze medie (42%), seguite dai diplomi professionali (15,6%) e superiori (12,8%). Preoccupante risulta essere l’11,6% di persone con la sola licenza elementare, e il 10,1% di analfabeti e senza titolo. Non stupisce, quindi, il fatto che il disagio educativo colpisca quasi il 16% dei giovani. Tra questi, i problemi linguistici riguardano più di 7 giovani stranieri su 10, mentre l’abbandono e la dispersione scolastica riguardano 1 giovane su 10.
Stupisce, in particolare, quell’8% di italiani tra i 27 e i 35 anni (nati tra il 1982 e il 1990) che non ha terminato neppure le scuole medie. Sebbene l’obbligo scolastico fino ai 16 anni sia stato annullato dalla riforma Moratti e successivamente reintrodotto nel 2006 con il riordino Fioroni, il completamento della scuola media è obbligatorio dal 1962. Questi 16 giovani italiani sono la prova che le disuguaglianze si perpetuano in prima istanza attraverso l’istruzione, e che la povertà educativa si trasmette di generazione in generazione, impedendo ai giovani di migliorare la propria posizione sociale e di conseguenza le proprie condizioni materiali.
Per quanto riguarda i giovani stranieri, 38 (4,8%) sono analfabeti e 60 (7,6%) non hanno nessun titolo di studio, a dimostrazione del fatto che il diritto all’istruzione, purtroppo, non viene garantito in ogni parte del mondo. Nonostante questo, gli stranieri laureati sono tre volte gli italiani, rispettivamente il 7,3% e il 2,5%.
Emerge così un paradosso per il quale gli stranieri sono, al contempo, meno istruiti e più istruiti degli autoctoni. Tuttavia, gli stranieri con elevati titoli di studio vanno incontro, nella maggior parte dei casi, al sottoinquadramento professionale. La scarsa conoscenza della lingua e le difficoltà burocratiche e finanziarie legate al riconoscimento del titolo di studio (il mancato riconoscimento del quale colpisce 1 straniero su 2), spesso non permettono a chi è arrivato in Italia in possesso di un elevato livello di istruzione e di numerose competenze di sfruttare appieno il proprio potenziale, sprecando così risorse preziose, soprattutto in un paese come il nostro, nel quale la quota di laureati tra i 25 e i 34 anni è tradizionalmente una delle più basse d’Europa.
Disaggregando i dati in base al genere, emerge un divario significativo. Le giovani donne sono mediamente più istruite degli uomini: i tassi di analfabetismo la metà di quelli degli uomini (6% contro 13,1%) e la quota di laureate doppia (10,3% contro 4,5%). La percentuale di donne con la sola licenza elementare è più bassa di quella degli uomini di 2 punti percentuali, mentre sono di più quelle che hanno finito almeno la scuola media (47,5% contro il 38% degli uomini). Infine, le donne sono più spesso in possesso di un diploma di scuola superiore (15,% contro 11,2%). Di converso, gli uomini detengono con più frequenza un diploma professionale (20,2% e 9,3%).
Nonostante le donne abbiamo titoli di studio più elevati e una maggiore dotazione di capitale umano, analizzando i dati relativi ai laureati disoccupati in base al genere, si riscontra un gap di oltre 10 punti percentuali a sfavore delle ragazze. Il rendimento dell’istruzione, per queste giovani donne, è praticamente inesistente. Inoltre, il 22,1% delle donne accolte sono casalinghe, non svolgono un lavoro retribuito per potersi occupare della casa e dei familiari. Questo costituisce uno spreco di risorse e di capitale umano e finanziario che investe non soltanto la dimensione sociale, ma anche e soprattutto quella familiare e quella individuale dei desideri e delle aspirazioni.

Le giovani famiglie

Il dato sullo stato civile permette di constatare che la maggior parte dei giovani incontrati nel 2018 è celibe o nubile (51,5%), il 44% è sposato o convivente. Più ridotta, comprensibilmente data la giovane età, la percentuale di divorziati e separati (4,1%).
Sono i giovani stranieri a vivere più frequentemente in famiglia, rispetto agli italiani che risultano più spesso privi di legami. 1 straniero su 2 è sposato o convive, una differenza di quasi 30 punti percentuali rispetto agli italiani, tra i quali soltanto il 22,8% è coniugato o convivente. Il 66,1% degli italiani è single, una differenza molto ampia rispetto agli stranieri (36,9%). Inoltre, gli italiani separati o divorziati sono il doppio (rispettivamente il 6,7% e il 3,5%).
Il 50,7% dei giovani incontrati sono genitori. Se si considera la cittadinanza il 50% degli stranieri ha almeno un figlio, rispetto al 48% degli italiani. Questo dato, tra l’altro, smentisce il discorso pubblico dominante, che vuole i migranti molto più fecondi degli italiani. La presenza di figli in famiglia denota un progetto migratorio di lungo periodo, così come tra i giovani italiani è evidente che i problemi economici aumentano nella misura in cui si diventa genitori, al punto da dover ricorrere alla Caritas.
I dati relativi allo stato civile e alla condizione familiare si differenziano notevolmente anche in base al genere. Le giovani donne sposate sono la maggioranza (71,6%), a cui poi si aggiungono quelle che convivono con il proprio compagno (2,2%). Le donne nubili sono appena 1 su 5. Più alto di 2 punti percentuali rispetto a quello maschile il dato su divorzi e separazioni, che hanno riguardato il 5,2% delle donne incontrate in Caritas. Al contrario, i giovani uomini sono perlopiù celibi (76,9%), molti meno i coniugati (18,2%) e i conviventi (1,6%). Tra le donne prevalgono le madri (l’81,6% di loro ha almeno un figlio), mentre la quota di giovani padri si ferma al 26%.
È interessante notare che, se i giovani uomini sono particolarmente vulnerabili quando sono soli e non hanno nessuno su cui poter contare, per le giovani donne questa condizione sembra invece dettata dall’avere una famiglia di cui devono prendersi cura. Le donne non si occupano quasi mai solo di sé stesse, ma come principali o uniche caretaker, hanno la responsabilità dei più fragili, minori, disabili, anziani e malati, e si rivolgono alla Caritas soprattutto per le necessità dei figli e dei familiari, dando la priorità ai bisogni dei propri cari. Lo dimostrano l’età media più elevata e la tendenza delle donne a tornare più volte nel corso degli anni: nel 2018 i “ritorni” al femminile sono stati la stragrande maggioranza, rispetto ai “nuovi arrivi” (appena il 35%). La responsabilità della cura ricade quasi interamente sulle spalle di queste giovani donne: più di 1 su 5 non lavora a causa della disparità nella distribuzione dei carichi familiari, potendo quindi contare solo sul sostegno economico del partner. Una forma di dipendenza economica che può tradursi in povertà/costituisce un enorme problema se la coppia si separa, il compagno finisce in carcere o perde il lavoro, in particolare in presenza di figli.

I problemi dei giovani

Esistono dei bisogni che caratterizzano la condizione giovanile? I giovani sono portatori di un disagio specifico? Quello che sappiamo è che, nonostante in numeri assoluti i giovani siano diminuiti, i bisogni sono aumentati e si sono fatti più complessi. La povertà non riguarda quasi mai solo la dimensione economica e materiale, ma investe la sfera familiare e relazionale, così come quella psicologica ed emotiva. La povertà economica, che colpisce il 92,6% dei giovani, spesso si intreccia ai problemi occupazionali (81,7%) e al disagio abitativo (59,2%), ed è causa e conseguenza di numerose fragilità.
Dei giovani ascoltati, prevedibilmente, moltissimi risultano disoccupati (78,4%). Tra gli occupati (appena l’8%), nel 61,5% dei casi sono stati riscontrati fenomeni di precarietà dell’impiego, sottoccupazione e lavoro nero. Avere un lavoro, inoltre, non necessariamente assicura un’entrata fissa, adeguata al mantenimento di una famiglia. Numerose sono infatti le famiglie che vivono una “in-work poverty”, una condizione di deprivazione nonostante l’impiego.
La vulnerabilità associata alla condizione occupazionale riguarda più di 9 italiani su 10 e poco meno di 4 stranieri su 5. Il divario è dovuto al fatto che gli immigrati, in quanto soggetti deboli, riescono a inserirsi con più facilità in un mercato del lavoro caratterizzato da diffuse forme di precariato, irregolarità, sotto retribuzioni: i migranti economici sono maggiormente disposti ad accettare il sottoinquadramento professionale e condizioni di lavoro meno vantaggiose rispetto ai loro coetanei italiani.
La disoccupazione rappresenta per i giovani una delle principali dimensioni di fragilità, con ricadute non soltanto sul piano economico, ma anche psicologico e sociale. Il lavoro, oltre ad essere fonte di indipendenza economica, contribuisce alla definizione dell’identità e consente di attribuire significato alla propria biografia, costruendo una narrazione coerente dell’esperienza individuale. Le traiettorie lavorative che non portano da nessuna parte, non solo frustrano i desideri e le aspirazioni, ma causano incertezza e rotture biografiche che possono essere sentite come esplicative di un fallimento umano prima ancora che professionale, dando origine a vissuti di sofferenza e impotenza.
Non è un caso se tra i problemi di salute più diffusi tra i giovani si riscontrano la depressione (11,5%), le malattie mentali e le patologie post-traumatiche (7,1% e 5,3%). Un ulteriore 7,1% di giovani soffre di problemi psicologici e relazionali e il 6,1% la solitudine, segno che i disagi materiali rendono i giovani fragili anche sul piano psicologico ed emotivo.
Lo stress e la frustrazione causati dalla povertà, dai problemi occupazionali e dal disagio abitativo si ripercuotono anche sul piano relazionale, causando un aumento delle fragilità di origine familiare, che colpiscono un giovane su 10, più di 3 italiani su 5 e poco meno di 2 stranieri su 10. Nel 21,8% dei casi si tratta di conflitti e incomprensioni con il partner o tra genitori e figli, mentre per 1 giovane su 5 (perlopiù donne) accudire i figli piccoli o assistere un parente malato risulta problematico. Anche le separazioni sembrano costituire un evento critico, portando all’allontanamento dalla famiglia nel caso degli uomini e alla condizione di madri single per le donne, nel caso in cui siano nati dei figli.
Come accennato in precedenza, sembra che i problemi familiari siano un’esperienza soprattutto femminile. 2 donne su 5, il doppio degli uomini, hanno esperienza di disagi legati alla sfera familiare. La vulnerabilità è spesso causata dalle difficoltà accudimento e assistenza di familiari anziani o disabili e bambini piccoli. La responsabilità della cura che ricade sulle spalle di queste giovani donne provoca isolamento e mancanza di tempo per sé, difficoltà nel conciliare i molteplici ruoli che devono ricoprire e, in molti casi, l’impossibilità di lavorare al di fuori delle mura domestiche. Anche gli abbandoni coniugali e le separazioni causano fragilità in molte giovani donne, che vengono lasciate sole ad occuparsi dei figli. La dipendenza economica dagli ex partner (per chi non lavora e non ha un’entrata propria) e il divario salariale fanno sì che le giovani madri single si trovino più spesso a vivere sotto la soglia di povertà rispetto agli uomini.
Se le problematiche occupazionali, il disagio abitativo (la mancanza di una casa o di residenza anagrafica, accoglienza provvisoria o domicili di fortuna, sfratto o sovraffollamento, condizioni insalubri o inadeguate da un punto di vista strutturale dell’immobile in cui si risiede), la povertà economica e i problemi di salute sono trasversali, le fragilità legate alle dipendenze riguardano soprattutto i giovani italiani (15,5% tra gli italiani contro 1,2% tra gli stranieri). Le più diffuse sono l’abuso di alcool e droga (più del 15%). Tuttavia, le situazioni di dipendenza vengono con grande probabilità sottostimate, perché complicate da riconoscere ed essere dichiarate. Anche i problemi con la legge (procedimenti penali in corso, detenzione, provvedimenti restrittivi di varia natura, coinvolgimento in atti criminali) sono diffusi soprattutto tra gli italiani (7,5%) che non tra gli stranieri (1,8%).
È interessante notare come, in base alla classe di età, le situazioni di vulnerabilità cambino e si modifichino. Tra i più “adulti” sono prevalenti i problemi occupazionali e i disagi abitativi, le difficoltà di cura in famiglia e i conflitti coniugali, mentre nelle fasce più giovani si concentrano i litigi e le incomprensioni con i genitori, gli abbandoni scolastici e le fughe da casa. Si tratta di giovani che sono ancora “figli”, che vivono con i propri genitori e non hanno, per ragioni anagrafiche, creato una famiglia propria. È evidente che per questi giovani molti dei disagi siano ereditati, conseguenza delle condizioni in cui versa la famiglia. Diventare adulti è molto difficile, soprattutto quando si hanno alle spalle situazioni familiari complicate, di povertà e degrado. Cominciare a prendere decisioni da soli, assumersi le proprie responsabilità, muovere i primi passi verso l’autonomia e l’indipendenza, rende molto vulnerabili i ragazzi in questa fascia d’età, che si trovano senza sostegno, supporto e protezione.

Il disagio abitativo

Dai dati sulla condizione abitativa emerge che 4 persone su 10, soprattutto tra i più giovani, vivono con i propri familiari, anche se si riscontra una quota consistente (35,5%) di persone che vivono completamente sole. La maggior parte dei giovani incontrati è in affitto (42,7%), ma dall’analisi dei dati emergono numerose situazioni problematiche e casi di grave marginalità.
I giovani senza dimora sono 472, il 40,9%, in aumento rispetto ai giovani del 2017 (3,6% in più). Di questi, il 66,3% dorme in strada, il 23,1% si arrangia con un domicilio di fortuna, i restanti si dividono tra chi dorme nella propria auto, chi passa la notte in case abbandonate o occupate, e quelli che sono temporaneamente ospiti di amici e parenti. Le situazioni di grave marginalità si concentrano nettamente tra gli uomini: il 65,3% di loro non ha una casa, rispetto al 10,7% tra le donne. Tra gli italiani i senza dimora sono quasi 1 su 2, mentre tra gli stranieri sono 2 su 5, questo perché tra gli immigrati è più alto il numero dei nuclei familiari che vivono in casa. Tra i giovani stranieri coloro che sono in strada sono per la maggior parte profughi provenienti dall’Asia meridionale e dall’Africa subsahariana il cui percorso di accoglienza si è concluso.
Il disagio abitativo è un fenomeno trasversale a tutte le generazioni, ma nel caso dei giovani determina una serie di ripercussioni sui progetti futuri e sulle scelte di vita familiare, causando il rinvio di scelte cruciali e il mancato raggiungimento dell’indipendenza.
È interessante notare come la concentrazione di senza dimora diminuisca con l’aumentare dell’età. È tra i 15 e i 19 anni che si registra l’incidenza più elevata di chi vive in strada (64,1% in questa fascia di età). Si tratta di giovani (alcuni dei quali minori) che probabilmente provengono da situazioni pregresse di povertà e disagio familiare, che sono scappati o sono stati allontanati da casa a causa di conflitti e problemi con i genitori. L’incidenza diminuisce gradualmente con il crescere dell’età, passando dal 44,5% nella fascia 20- 24 anni, al 42,7% tra i giovani adulti, per arrivare al 36% tra i più “anziani”, tra i 30 e i 35 anni. Per i più grandi, vivere per strada è generalmente la conseguenza della disoccupazione o di una separazione.

Giovani in “stand-by”

La povertà giovanile è caratterizzata dalla complessità, dalla molteplicità di dimensioni, da disagi che si intrecciano e si mescolano tra loro, rendendo difficile individuare nessi causa-effetto, e creando situazioni difficilmente definibili e interpretabili.
L’analisi dei dati dei CdA della diocesi ci restituisce un immagine di giovani più soli e isolati rispetto agli adulti, che presentano una concentrazione di disoccupati (il 77,1% contro il 70,6%) e di senza dimora (40,9% e 33,7%) più elevata. Dai dati emergono inoltre numerose situazioni di povertà che vengono trasmesse di genitore in figlio, generando effetti di lungo periodo che avranno ripercussioni su tutto l’arco della vita e producendo circoli viziosi di deprivazione e vulnerabilità da cui risulterà difficile, se non impossibile, uscire.
La precarietà, lungi dall’essere un fenomeno che riguarda la sola sfera lavorativa e finanziaria, è diventata una condizione esistenziale che investe tutti gli ambiti di vita dei giovani. Le scienze sociali parlano a questo proposito di vera e propria “generazione precaria”, accomunata da un senso di marginalizzazione sociale ed economica, dalla percezione dell’esistenza di un tetto di cristallo che impedisce loro di trovare un proprio posto nella società e di conquistare protagonismo sociale e politico.
La conseguenza più grave sta nella sospensione della progettualità verso il futuro, nel rinvio delle scelte cruciali, quei riti di passaggio che rendono pienamente adulti. Diventare “grandi” rimane un processo incompiuto, e i giovani sono bloccati in uno stato di moratoria nel quale, alla delusione data dalla rinuncia alle aspettative, si aggiunge il senso di fallimento di non essere riusciti a vivere la vita che si voleva.
Non solo, quindi, i giovani sono privi di strumenti per affrontare la quotidianità, ma anche il futuro. La povertà giovanile pone un problema che dovrebbe interrogarci tutti, oltre che per l’impatto che provoca sul piano culturale, economico e sociale, perché riguarda il futuro e lo spreco di risorse e capitale umano. Se ai giovani non viene data la possibilità di progredire e prosperare, la perdita è della società nel suo complesso.