Dati demografici ed economici

Disuguaglianza in pillole1

  • Dal 2015 l’1% più ricco dell’umanità possiede più ricchezza netta del resto del pianeta;
  • Nel 2018 26 individui possedevano una ricchezza pari a quella della metà più povera dell’umanità, 3,8 miliardi di persone;
  • 9 su 10 dei miliardari del mondo sono uomini, e la loro ricchezza rappresenta 7 volte l’ammontare delle risorse necessarie per far uscire dallo stato di povertà estrema 789 milioni di persone;
  • Le 10 imprese più grandi del mondo (tra cui Shell e Apple) incassano in totale più dei 180 Paesi più poveri messi insieme;
  • Se l’1% più ricco del mondo pagasse soltanto lo 0,5% di imposte sul proprio patrimonio, se ne ricaverebbe un gettito superiore a quanto serve per mandare a scuola tutti i 262 milioni di bambini che non vi hanno ancora accesso e fornire assistenza sanitaria a salvare la vita a 3,3 milioni di persone;
  • Il patrimonio dell’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos (il fondatore di Amazon), è di 112 miliardi di dollari. Appena l’1% di questa cifra equivale quasi all’intero budget sanitario dell’Etiopia, un paese con 105 milioni di abitanti;
  • Sono le donne a trovarsi più frequentemente tra le persone povere, a causa del lavoro di cura non retribuito che devono svolgere: 16,4 miliardi di ore in un solo giorno, in tutto il mondo;
  • Se tutto il lavoro di cura non retribuito svolto dalle donne di tutto il mondo fosse fornito da un’azienda, questa avrebbe un volume di affari annuo di 10mila miliardi di dollari, 43 volte quello di Apple;
  • I 1.810 miliardari della lista Forbes 2016 possiedono tanto quanto il 70% meno abbiente dell’umanità;
  • Di tutta la ricchezza globale creata nel 2017, l’82% è andato all’1% della popolazione mentre la metà più povera (3,8 miliardi di persone) non ha beneficiato di alcun aumento.

E intanto, in Italia…

  • A metà 2018 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 72% della ricchezza nazionale;
  • La ricchezza dell’5% più ricco degli italiani (43,7% della ricchezza nazionale) è pari a quasi tutta la ricchezza detenuta dal 90% più povero;
  • Il 10% più ricco della popolazione possiede oltre 7 volte la ricchezza della metà più povera;
  • Nel periodo 2006-2016, il reddito del 10% più povero degli italiani è diminuito del 23,1%;
  • Il 60% più povero dei nostri concittadini possiede appena il 12,4% della ricchezza nazionale;
  • Secondo stime Ocse, nel 2017 in Italia l’indice di Gini2 è pari a 0,33, rendendolo uno dei paesi europei più diseguali.

I costi della disuguaglianza sono devastanti: ogni giorno 262 milioni di bambini non possono andare a scuola e quasi 10mila persone muoiono perché non hanno accesso a cure mediche. Tuttavia, la povertà estrema potrebbe essere ridotta di tre quarti, subito e con risorse già esistenti, semplicemente aumentando l’imposizione fiscale e tagliando le spese relative alla fabbricazione di armi.


1) I dati riportati in questo paragrafo sono relativi all’anno 2018 e fanno riferimento al rapporto Bene pubblico o ricchezza privata? a cura di Oxfam International, e all’inserto Disuguitalia. I dati sulla disuguaglianza economica in Italia, a cura di Oxfam Italia.

2) Coefficiente statistico utilizzato per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. È un valore compreso tra 0 e 1, in cui 0 corrisponde alla massima equità nella distribuzione mentre 1 corrisponde alla massima concentrazione, ovvero una situazione in cui un solo individuo percepisca l’intero reddito di un paese.

Dinamiche demografiche

Al 1° gennaio 2019 la provincia di Rimini conta 337.325 residenti, per il 51,8% donne e per il 48,2% uomini. Un’età media di 45 anni e un’aspettativa di vita di 84, fanno di Rimini una delle province italiane più longeve.

Analizzando la struttura della popolazione per età emerge che gli over 65 costituiscono oltre un quinto dei residenti. Si tratta di una struttura regressiva, che ha un forte impatto sul sistema sociale, in particolare a livello lavorativo e sanitario, come testimoniato da due importanti indicatori demografici:

  • l’indice di vecchiaia, ovvero il rapporto percentuale tra gli over 65 e gli under 14, che misura il grado di invecchiamento della popolazione, nella provincia di Rimini è arrivato a 168,8, numero di anziani presenti ogni 100 giovani;
  • l’indice di dipendenza strutturale, stima del carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65+ anni) su quella attiva (15-64 anni) e della sostenibilità del welfare, indica che a Rimini per ogni 100 individui che lavorano ci sono 56,6 individui a carico.

I matrimoni, in calo negli ultimi anni, nel 2018 sono tornati a crescere3 : nel comune di Rimini ne sono stati celebrati 399, 37 in più del 2017. L’età media è 36 anni per la sposa e 40 per lo sposo. Con 21 nuove coppie trascritte nel corso dell’anno, il 2018 ha visto anche l’aumento delle unioni civili.

Tuttavia, nel corso dell’anno è stato registrato un calo della natalità. Sono 1.050 i nuovi nati nel 2018 (96 in meno del 2017), 570 maschietti e 480 femminucce. Il saldo naturale della popolazione4 risulta dunque negativo per il settimo anno consecutivo, con l’aumento dei residenti da imputare esclusivamente al saldo migratorio positivo5 .

Nel comune di Rimini vivono 66.703 famiglie, il numero medio di componenti è 2,3 persone per nucleo. Le famiglie unipersonali sono 24.455, pari al 36,7% del totale, quelle con 2 componenti sono 18.150 (27,2%), le famiglie con 3 componenti arrivano a 11.965 (17,9%), il 13% dei nuclei è costituito da 4 componenti (8.673 unità), il restante 5,2% sono famiglie numerose, con 5 o più componenti.

Gli stranieri residenti in provincia di Rimini sono 36.444 (43,3% uomini e 56,7% donne), e rappresentano il 10,8% della popolazione residente. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dall’Albania (19,3% di tutti gli stranieri presenti sul territorio), seguita da Romania (16,1%), Ucraina (13,4%), Cina (6,5%) e Marocco (5,4%).


3) Rimini in cifre, bollettino statistico del comune di Rimini.

4) Differenza tra il numero delle nascite e il numero dei decessi.

5) Differenza tra il numero degli emigrati e il numero degli immigrati.

Povertà e disagio abitativo

Sono 1 milione e 778 mila le famiglie italiane che versano in condizioni di povertà assoluta6 . Al loro interno vivono 5 milioni e 58 mila persone, pari al 6,9% tra le famiglie e all’8,4% per gli individui. Particolarmente in difficoltà le famiglie di stranieri (delle quali il 29,2% vive in povertà assoluta) e le famiglie numerose (15,4%), soprattutto se i figli sono minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento over 65, quello massimo nei casi in cui la persona di riferimento abbia meno di 35 anni (9,6%). A livello individuale, ad essere colpiti sono in particolar modo i minori (12,1%) e i giovani (10,4%).

La condizione di povertà relativa riguarda 3 milioni 171 mila famiglie (il 12,3% delle famiglie italiane), e 9 milioni 368 mila individui (15,6% della popolazione). Come la povertà assoluta, il fenomeno è più diffuso tra le famiglie straniere (34,5%) e quelle con tre o più figli minori (31%). La concentrazione di povertà relativa è particolarmente elevata tra le famiglie giovani: raggiunge il 16,3% se il principali percettore del nucleo ha meno di 35 anni, mentre scende al 10% nel caso di un over 65. A livello individuale, la povertà relativa colpisce in particolar modo i minori (21,5%) e i giovani (19%), rispetto a 35-64enni (14,5%) e anziani (10,5%).

Nella regione Emilia-Romagna il tasso di povertà relativa è del 4,6% tra le famiglie e del 5,6% tra gli individui, il che significa che quasi 250mila persone hanno difficoltà nel procurarsi beni e servizi. Dato che non deve stupire: nel 2016 le famiglie che hanno dichiarato di arrivare a fine mese con difficoltà sono il 12,5%, a cui si aggiunge un ulteriore 4,7% che vi arriva con grande difficoltà. Il 66% delle famiglie emiliane e romagnole non riesce a risparmiare e un ulteriore 33% non riesce a far fronte a spese impreviste.

Il disagio abitativo è una dimensione critica della deprivazione: la casa è rifugio, protezione, riparo, non soltanto in senso materiale, ma anche a livello simbolico ed emotivo. Secondo i dati dell’Ufficio Casa del comune di Rimini, sono 1.544 le persone in graduatoria ERP7 . Le domande presentate nel 2018 sono 207, il 13,4% del totale, con un leggero decremento rispetto al 2017. Si tratta prevalentemente di donne (52,3%), con un’età compresa tra i 35 e i 54 anni (56,2%). Seguono i 55-64enni (19,4%) e gli anziani (15,2%), mentre risulta più contenuta la quota di giovani fino ai 34 anni (9,3%). Gli italiani sono 987 e gli stranieri 557, rappresentando il 63,9% e il 36,1% del totale. La comunità straniera più numerosa è quella albanese (5,8%), seguita da quella marocchina (5,3%), ucraina (4,8%) e rumena (4,3%). Costituendo il 23,2% del totale, risulta prevalente la presenza di persone sole, mentre è piuttosto esigua la quota di famiglie numerose, con 5 o più membri (17,3%). Si tratta soprattutto di over 65, pensionati o vedove che faticano ad arrivare alla fine del mese.

Per quanto riguarda gli alloggi a canone calmierato, le persone in graduatoria sono 414, la maggior parte delle quali donne (51,7%). Di queste 414 richieste, 61 (il 14,7%) sono state inoltrate nell’ultimo anno, anche in questo caso in diminuzione rispetto al 2017. La classe di età più rappresentata è quella tra i 35 e i 44 anni (32,1%) seguita da quella 45-54 (29,2%). Gli anziani sono coloro che più spesso vivono soli: un nucleo unipersonale su 2 è composto da una persona con più di 65 anni, con un ulteriore 25% di persone di età compresa tra i 55 e i 64 anni. In graduatoria prevalgono le famiglie dai 4 ai 2 componenti, in ordine decrescente, che combinate costituiscono il 63,5% del totale. Anche in questo caso, gli italiani sono più numerosi (65,7%), seguiti da albanesi (5,3%), senegalesi (5,3%) e marocchini (4,3%).


6) La povertà in Italia (2018), Istat

7) Gli alloggi di edilizia residenziale pubblica sono assegnati, previa presentazione di apposita domanda, sulla base di una specifica graduatoria.

Popolazione giovanile

A partire dal 2015 l’Italia è entrata in una fase di declino demografico, e per il quarto anno consecutivo la popolazione è diminuita (oltre 90mila persone in meno rispetto al 2017). Parallelamente si assiste ad un marcato invecchiamento della popolazione: l’Italia è il secondo paese più vecchio al mondo, con 168,9 anziani ogni 100 giovani.

I giovani sono pochi, dunque, e i numeri lo dimostrano. Al 1° gennaio 2019, gli italiani tra i 15 e i 34 anni sono 12.528.224, con un’incidenza del 20,7% su una popolazione totale di 60.483.973. I giovani uomini sono 6.435.624 (51,4%), le giovani donne 6.092.600 (48,6%). Analizzando la struttura per età della popolazione, ci si rende conto che gli over 65 sono più numerosi e costituiscono il 22,6% della popolazione.

I dati regionali e provinciali confermano questo “degiovanimento”8 . I giovani in Emilia-Romagna sono 168.992, per il 50,8% maschi e per il 49,2% femmine, e rappresentano il 20% della popolazione regionale. Nella provincia di Rimini, che risulta una delle più “anziane” della regione, la popolazione tra i 15 e i 34 anni costituisce il 19,3% del totale complessivo. In valori assoluti i giovani sono 65.106, 32.842 maschi (50,4%) e 32.264 femmine (49,6%).

A livello nazionale, i residenti stranieri tra i 15 e i 34 anni sono 1.616.823, il 12,9% della popolazione giovanile complessiva, di cui il 52,6% uomini e il 47,4% donne. Il dato aumenta a livello regionale, dove con 168.992 unità, i giovani di origine straniera si attestano al 20% della popolazione giovanile, 85.795 ragazzi (50,8%) e 83.197 ragazze (49,2%). Nella provincia di Rimini, l’incidenza di giovani stranieri sul totale dei giovani diminuisce, registrando un dato pari al 16,3%. Si tratta, in numeri assoluti di 10.610 persone, delle quali 5.035 sono giovani uomini (47,5%) e 5.575 giovani donne (52,5%).


8) Alessandro Rosina, 2008

Giovani e lavoro

Secondo le stime della Camera di Commercio della Romagna, al 31 dicembre 2018, nella provincia di Rimini si contano 2.596 imprese giovanili9 attive, quota che costituisce il 7,6% del totale delle imprese attive. Rispetto al 2017, si riscontra un calo del 1,6%, comunque inferiore alla variazione negativa sia regionale che nazionale. La maggioranza delle imprese giovanili provinciali si trova nel comune di Rimini (45,9%), con una buona presenza anche nei comuni di Riccione (11%), Bellaria (6,9%) e Santarcangelo (5,9%). I principali settori economici sono il Commercio (758 imprese, 29,3% sul totale delle imprese giovanili), seguito da Costruzioni (448, 17,1%) e Alberghi e ristoranti (418, 16,1%).

Nonostante un tessuto imprenditoriale giovanile locale che mostra segni di ripresa, i dati della CGIL Rimini segnalano che il 45% delle denunce per lavoro irregolare e delle vertenze attivate nel 2018 riguardano persone under 40, trattasi ovviamente di lavoratori dipendenti.
I principali indicatori del mercato del lavoro a livello nazionale, regionale e provinciale, vedono i giovani italiani penalizzati non soltanto rispetto agli adulti, ma anche nel confronto europeo. Nelle parole di Giuseppina Morolli, Segretario Generale CST UIL Rimini: “Per la UIL di Rimini occorre riportare il lavoro al centro di tutte le politiche, perché tutte le indagini e i numeri confermano che a Rimini il lavoro è sofferente da troppo tempo, soprattutto quello dei giovani dai 15 ai 29 anni (anche laureati) e delle donne”.

A livello nazionale10 , si registra un tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni pari al 30,8%, a fronte di una media europea del 49,4% e di un tasso di occupazione totale del 58,5%. Anche il tasso di disoccupazione (stessa fascia di età) risulta penalizzante soprattutto a livello comparativo: i disoccupati italiani tra i 15 e i 29 anni sono il 24,8%, rispetto al 12,7% dei 15-29enni europei e ai disoccupati italiani totali (10,6%).

La situazione migliora leggermente a livello regionale con un tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni del 39,4%, nonostante un divario di oltre 30 punti percentuali con gli occupati totali. Per la stessa fascia di età, la disoccupazione si attesta al 13,7%, valore più che doppio rispetto al tasso complessivo (5,9%).

Rimini è la provincia (ad eccezione di Ferrara) che registra i tassi di occupazione e disoccupazione peggiori della regione: i giovani riminesi tra i 15 e i 29 anni sono occupati per il 36,6%, con un differenziale di oltre 30 punti percentuali rispetto ai coetanei emiliani e romagnoli. La disoccupazione colpisce un giovane riminese su 5, a fronte di un livello complessivo pari all’8,2%.

Nelle parole di Giuseppina Morolli, Segretario Generale CST UIL Rimini: “Per la UIL di Rimini occorre riportare il lavoro al centro di tutte le politiche, perché tutte le indagini e i numeri confermano che a Rimini il lavoro è sofferente da troppo tempo, soprattutto quello dei giovani dai 15 ai 29 anni (anche laureati) e delle donne”.

È interessante notare come, nonostante questo, il tasso di occupazione dei riminesi risulti superiore a quelli provinciali e a quello regionale prendendo in considerazione soltanto i più giovani (15-24 anni), per poi registrare a livello regionale la performance peggiore tra i giovani 25-34enni.

La spiegazione è rintracciabile negli alti tassi di attività dei giovani riminesi, che cominciano a lavorare prima dei loro coetanei emiliani e romagnoli (il 32,7% è attivo tra i 15 e i 24 anni), facendo la “stagione” o lavorando nei week-end per non dipendere dai genitori per le piccole spese. Una volta cresciuti, però, faticano a inserirsi in modo permanente e stabile sul mercato del lavoro.

I giovani italiani vengono penalizzati anche relativamente alla qualità e alle condizioni di lavoro11 :

  • Gli occupati atipici tra i 15 e i 24 anni in Italia sono il 61,9%, la media dell’EU28 è del 44,2%;
  • La situazione migliora prendendo in considerazione la classe di età successiva (25-34 anni), anche se il divario con l’Europa rimane molto ampio, rispettivamente il 26,7% e il 18,8%;
  • La quota di contratti atipici involontari tra i giovani italiani tra i 15 e i 34 anni è del 59,8%, 14 punti percentuali in più della media europea.

La disparità intergenerazionale si riscontra anche a livello reddituale. Nel 2017, nella provincia di Rimini12 , i 730 dei lavoratori under 35 hanno registrato un record negativo a livello regionale, con un valore assoluto di 12.783,94 euro, in calo del 15,6% rispetto al 2016 e inferiore di più di 20 punti percentuali rispetto alla media regionale. Il confronto con le dichiarazioni della media dei lavoratori presenta un differenziale negativo del 39,9%. Secondo le stime della Cisl, i redditi più alti, a Rimini, sono quelli dichiarati dai pensionati.

Dai dati della Cgil Rimini emerge che, rispetto all’anno precedente, nel 2018 sono aumentate le dichiarazioni dei redditi sotto la soglia di povertà presentate presso il loro CAAF. L’aumento è avvenuto sia in termini assoluti, sia tra i giovani under 35. Nell’anno appena trascorso, le dichiarazioni dei redditi sotto la soglia di povertà presentate da lavoratori under 35 sono state 1.500, 314 in più rispetto al 2017. Allo stesso modo, i lavoratori over 35 hanno presentato, nel 2018, 6.429 730 al di sotto della soglia di povertà, dato che segnala una crescita rispetto alle 5.580 dichiarazioni presentate nell’anno precedente.

Secondo l’Eurostat, nel 2017, l’Italia si classifica ai primi posti in Europa per presenza di NEET13 : il fenomeno interessa più di un giovane italiano su 4. I giovani che non studiano e non lavorano nel nostro paese sono più di 3 milioni, il 25,5% della popolazione tra i 15 e i 34 anni, a fronte di una media europea del 14,7%. Stime Istat relative al 2018, registrano un’incidenza di NEET nella classe di età 15-29 anni pari al 23,4%. Nonostante il dato regionale risulti decisamente più basso (15,4%), quello relativo alla provincia di Rimini è il più alto della regione: i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in formazione sono il 25,4%.

L’instabilità lavorativa e la conseguente instabilità del reddito impediscono ai giovani di raggiungere l’indipendenza economia e si ripercuoto su tutte le tappe della transizione alla vita adulta. Una conseguenza di particolare gravità è il ritardo dei giovani italiani nel conseguimento dell’autonomia abitativa: il 62,4% dei giovani tra i 18 e i 35 anni vive ancora con i genitori, uno dei tassi più alti del continente. La quota di giovani che abita ancora con la famiglia di origine si riduce prendendo in considerazione il dato regionale (56,1%), ma soprattutto quello comunale che, attestandosi al 44,5% vede i giovani molto più precoci della media nazionale per quanto riguarda il vivere fuori da casa.


9) Si definiscono “imprese giovanili” imprese, società e cooperative costituite in prevalenza da giovani tra i 18 e i 29 anni o composte esclusivamente da persone di età inferiore ai 35 anni.

10) Dati Istat riferiti al 2018.

11) Dati Eurostat riferiti al 2017.

12) Dossier “I redditi 2017 in Romagna, a cura di Cisl Romagna.

13) NEET è l’acronimo dell’espressione inglese “not engaged in education, employment or training”, usata per indi­care persone non impegnate nello studio, nel lavoro né in attività formative assimilabili (es. tirocini, lavoro domestico…).

Giovani italiani all’estero

Uno studio di Cisl Romagna, condotto incrociando diverse banche dati, ha rilevato che nell’ultimo anno sono stati 43 su 10mila i giovani riminesi tra i 18 e i 39 anni che hanno lasciato la provincia per andare all’estero. E’ il dato più alto dell’Emilia-Romagna, confermato anche per quanto riguarda l’emigrazione interna: Rimini si classifica terza in regione per cambiamenti di residenza verso altre città italiane, con 330 giovani ogni 10.000.

È sempre più frequente, infatti, che la precarizzazione del lavoro, riflessasi in una precarizzazione dei progetti di vita, spinga i giovani a prendere in considerazione la possibilità di trasferirsi in un altro paese. E sono quelli altamente qualificati che più spesso utilizzano la mobilità come strategia per fronteggiare la precarietà, la disoccupazione e la sottoqualificazione degli impieghi. C’è una generazione di giovani che ha investito nella formazione ma che il sistema economico e produttivo non riesce ad assorbire: negli ultimi 12 i tassi migratori sono sostanzialmente cresciuti all’aumentare del livello di istruzione, con i valori massimi registrati tra i laureati.

Nel 2016 l’Istat ha rilevato che 4 giovani (15-34 anni) disoccupati su 10, soprattutto laureati, sarebbero disponibili a trasferirsi per lavoro. Tendenza confermata l’anno successivo da dati AlmaLaurea14 che registrano una forte propensione alla mobilità: il 48,4% dei neolaureati si dichiara disponibile a trasferirsi all’estero per lavoro (+10% rispetto al 2007). Di questi, il 33,7% è addirittura pronto a trasferirsi in un altro continente.

Ricostruire il numero esatto di giovani italiani che hanno lasciato il paese non è facile, perché la fonte principale di dati, l’Aire, è un registro in cui si viene inseriti solo su richiesta dell’interessato, e si stima che una parte consistente dei cittadini residenti all’estero non si iscrivano. Quindi, si tratta di cifre che, con ogni probabilità, sottostimano la reale intensità del fenomeno. Quello che sappiamo è che:

  • In 5 anni il nostro paese ha perso oltre 156 mila tra laureati e diplomati. Nel 2017 più della metà degli italiani emigrati all’estero (52,6%) è in possesso di un titolo di studio elevato, facendo registrare un aumento del 4% rispetto all’anno precedente. Si tratta di quasi 28mila persone15 ;
  • I laureati, che costituivano il 15% del totale degli espatriati nel 2005, hanno raggiunto il 24% nel 2016. Sono però nettamente al di sopra del 30% tra gli emigranti di 25-44 anni che hanno lasciato l’Italia negli ultimi sei anni16 ;
  • Il rapporto Italiani nel Mondo 2017 della Caritas Migrantes evidenzia che, negli ultimi 3 anni, gli aumenti più interessanti degli iscritti Aire hanno riguardato i giovani e i giovani adulti: gli iscritti tra i 18 e i 35 anni sono 1.109.533, il 22,3% del totale;
  • Da gennaio a dicembre 2016 oltre il 39% delle iscrizioni Aire hanno riguardato giovani tra i 18 e i 34 anni (+23,3%, oltre 9mila in più rispetto al 2016).

Si tratta di un problema enorme in un paese come l’Italia, che ha visto calare le immatricolazioni di oltre 70mila unità in 10 anni e si classifica all’ultimo posto in Europa (ad eccezione della Romania) per numero di laureati tra i 30 e 34 anni: nel 2017 sono il 26,9%, a fronte di una media Ue del 39,9%.

L’antropologo indiano Arjun Appadurai ha coniato l’espressione capacità di aspirare, un concetto che si riferisce alla capacità di mettere in campo desideri e progetti e strumenti per raggiungere determinati obiettivi. Grazie ad essa gli individui sono in grado di immaginare e costruire ponti concreti tra il presente e il futuro. La mancanza di capacità di aspirare non è tanto e solo legata alla deprivazione materiale, quanto piuttosto alla povertà di desideri, di ambizioni, all’incapacità di fare di progetti e di porsi obiettivi.

Bisognerebbe interrogarsi su come le condizioni di precarietà in cui si trovano a vivere i giovani influiscano sulla loro capacità ad aspirare. La continua esposizione all’incertezza ha prodotto un suo indebolimento, una sua trasformazione in senso pragmatico? Sicuramente si è prodotto un abbassamento delle aspettative: se non si ha una solida base nel presente, è difficile proiettarsi sul futuro. Ciò che i giovani apprendono, e a cui rischiano di adattarsi, è a vivere in modo precario.

Si emigra all’estero per non essere costretti a rivedere al ribasso le proprie aspettative. Si emigra quando non si riesce a trasformare l’educazione, la determinazione, l’impegno, il supporto e le risorse ricevute in un lavoro stabile, in un’identità compiuta che si credeva raggiungibile perché i desideri iniziali sembravano realistici. Si emigra per non limitarsi a subire il presente, ma interpretarlo, viverlo nelle pieghe, negli interstizi, nelle incertezze.


14) Profilo dei laureati 2017 (2018), AlmaLaurea.

15) Dati Istat.

16) Dati Istat

Povertà giovanile

In Italia l’ascensore sociale si è bloccato. Da un sondaggio sulla percezione delle disuguaglianze tra i giovani italiani17 condotto da Demopolis emerge che:

  • 8 giovani su 10 ritengono molto marcata la disuguaglianza intergenerazionale;
  • Per il 66% degli intervistati, chi studia o inizia a lavorare occuperà una posizione peggiore della precedente generazione, solo il 9% ipotizza condizioni di vita migliori;
  • Il 75% del campione è incerto riguardo al futuro;
  • Il 72% dei giovani ritiene che negli ultimi 5 anni le disuguaglianze nel nostro paese siano aumentate. Tra gli ambiti in cui i giovani registrano le disparità più forti spiccano, oltre alla distribuzione del reddito (82%), le opportunità di accesso al mercato del lavoro (70%) e le differenti opportunità tra le aree del paese (65%).

La povertà giovanile non è un fenomeno esclusivamente italiano, i giovani sono il gruppo anagrafico maggiormente a rischio di povertà ed esclusione sociale in tutta l’Unione Europea. Secondo il Fondo Monetario Internazio­nale i giovani tra i 16 e i 34 anni sono in possesso di appena il 5% della ricchezza netta in Europa, e in media la loro ricchezza è soltanto un decimo di quella del gruppo di persone oltre i 65 anni. Tuttavia, mentre nel resto d’Europa la povertà giovanile è in declino costante dal 2010, il fenomeno nel nostro paese pre­senta la tendenza opposta, con un incremento del 12,9% tra il 2010 e il 2015. Il rischio di povertà ed esclusione tocca il 33,7% dei giovani italiani, con un’incidenza del 6,4% più elevata rispetto ai loro coetanei europei.

L’incidenza della povertà assoluta familiare è tanto più elevata quanto è giovane la persona di riferimento: a fronte di una media nazionale del 6,9%, i valori più alti si registrano nei casi in cui il principale percettore abbia un’età inferiore ai 35 anni (9,6%), per poi decrescere gradualmente. Quando nel nucleo familiare si registra la presenza di figli minori, la concentrazione di poveri assoluti è molto più elevata se la persona di riferimento ha dai 18 ai 34 anni (13,3%, a fronte del 9% tra le famiglie con persona di riferimento tra i 45 e i 55 anni). A livello individuale, a fronte di un tasso nazionale dell’8,4%, la povertà assoluta si concentra tra i minori (12,1%) e nella classe di età compresa tra i 18 e i 34 anni (10,4%), registrando valori più bassi nelle due classi di età successive, quella tra i 35 e i 64 anni (8,1%) e quella degli over 65 (4,6%).

In modo analogo, la povertà relativa è più diffusa tra i giovani. Più è giovane la persona di riferimento più l’incidenza della povertà relativa è elevata: il 16,3% per la classe di età 18-34 anni (+6,3% rispetto agli over 65), a fronte di un tasso nazionale del 12,3%. Se la giovane coppia ha almeno un figlio minore, l’incidenza aumenta vertiginosamente, attestandosi al 25,7%, a fronte del 16% di famiglie con minori in cui principale percettore ha tra i 45 e i 54 anni. A livello individuale, la povertà relativa colpisce sproporzionatamente i minori (21,5%) e i giovani (19%), con una differenza di circa 10 punti percentuali rispetto ai pensionati.

Secondo rilevazioni Istat effettuate nel 2016 sulle famiglie18 il cui principale percettore ha meno di 35 anni, 7 su 10 non riescono a risparmiare, e 1 su 2 non è in grado di far fronte a spese impreviste. Per quanto riguarda le spese, il 16,7% delle famiglie dichiara di non potersi permettere di mangiare carne o pesce ogni 2 giorni, il 20,5% di non essere in grado di riscaldare adeguatamente la propria casa, con un’ulteriore 47,9% di nuclei familiari appartenenti a questa tipologia che non può permettersi di fare una settimana di ferie all’anno.

Entrando nel dettaglio delle spese relative all’abitazione, il 57,9% dei giovani e delle giovani famiglie giudica eccessivamente oneroso il proprio affitto, mentre il 55,2% ritiene che le rate del mutuo siano troppo elevate. Un ulteriore 46% lamenta l’eccessivo costo di ulteriori spese per la casa. Inoltre, 1 nucleo familiare su 2 dichiara di essere in qualche modo indebitato. Più di 1 famiglia su 10 ha dichiarato di essere in ritardo sul pagamento delle bollette, mentre il 9,6% ha arretrati sull’affitto o sul mutuo. Le difficoltà persistono anche nell’acquisto di beni durevoli, seppure su livelli inferiori. Gli acquisti più compli­cati sono il telefono fisso, la lavastoviglie e la connessione internet.

Facendo riferimento alla condizione economica percepita, 1 famiglia su 4 ha dichiarato di riuscire ad arrivare alla fine del mese con difficoltà, con un ulteriore 12,8% che vi arriva con grande difficoltà. È interessante notare che tutti i valori fin qui riportati sono più elevati di quelli registrati per tutte le altre classi di età.

Il 19,3% delle persone o delle famiglie in cui il principale percettore ha meno di 35 anni ritiene che il reddito minimo sufficiente per arrivare alla fine del mese sia pari o addirittura inferiore a 1.000 euro, il 33,6% pensa che bastino tra i 1.000 e i 1.500 euro.


17) L’età della disuguaglianza (2018), Oxfam Italia.

18) Si fa riferimento anche a nuclei unipersonali.

Si ringrazia la collaborazione dell’Ufficio Casa del Comune di Rimini, dell’Ufficio Statistico della Camera di Commercio di Rimini e i sindacati Cgil, Cisl e Uil che hanno inviato dati e riflessioni per l’elaborazione di questa lettura dei dati.