Diminuiscono le persone, ma aumentano le nuove povertà

“Mi chiamo Vincent, vengo dal Ghana,e sono arrivato in Italia nel 2014 con una barca a Lampedusa.In patria ho lasciato 4 fratelli e una figlia di 6 anni che ho affidato ai miei genitori.I primi mesi sono stato accolto in una cooperativa,ma ho fatto fatica a imparare l’italiano,quando ho ricevuto il Permesso di soggiornoil progetto è finito e mi sono ritrovato in strada.Fino adesso mi ha ospitato un amico, ma ora non può più tenermi e mi sta scadendo il Permesso di Soggiorno.Era per motivi umanitari, non so come fare. Potete ospitarmi per dormire?”

Questa è una delle tante storie dei nuovi poveri di oggi, situazioni che mettono in serie difficoltà e alle quali non si sa come rispondere, al di là dell’aiuto immediato.

A partire dal 2013 è andato via via calando il numero delle persone incontrate dalla Caritas diocesana. Siamo passati da 2.530 nel 2012, a 1.716 nel 2018, questo è sicuramente un fattore positivo.
Bisogna sottolineare che, proprio a partire dal 2013, la Caritas diocesana ha avviato nuovi progetti quali il Fondo per il Lavoro e l’Emporio solidale, e proprio quest’ultimo (inaugurato nel 2016) ha fatto sì che in Caritas venisse annullata la distribuzione dei pacchi viveri in quanto sostituita dalla disponibilità della scelta di più alimenti presenti in Emporio e dall’opera di distribuzione fatta dalle Caritas parrocchiali. Sono quindi inevitabilmente diminuite le famiglie domiciliate che facevano riferimento al Centro di Ascolto diocesano per questa necessità.

È dal 2011 che l’asticella dei “nuovi” non superava i “ritorni”, questo indica che, se è pur vero che sono diminuite le persone, sono però aumentate le nuove situazioni di povertà.
Nel 2011 a far alzare la linea dei “nuovi” furono prevalentemente i tunisini con lo scoppio della Primavera araba, nel 2018 sono sì i migranti, ma anche gli italiani (per la prima volta il 51,4% degli italiani).
A livello numerico la presenza più elevata dei “nuovi” è rappresentata dai cittadini stranieri, prevalentemente tra i 25 e i 34 anni, provenienti in particolare dall’Africa: Nigeria, Senegal, Gambia, Mali, Ghana, Algeria, Guinea, Egitto, Liberia, Camerun, Somalia e Kenya; dall’Asia: Pakistan e Afghanistan; ma anche dall’Europa: Ucraina, Albania, Moldavia, Russia, Polonia, Regno Unito, Francia e Spagna. Già la provenienza da così tanti stati diversi fa comprendere come ci sia un movimento globale, di come i flussi migratori coinvolgano tutto il mondo e specialmente la fascia giovanile. (Il 29,7% dei “nuovi” immigrati è o richiedente asilo o ha un permesso per asilo politico, o per motivi umanitari o altri).

Il 18,7% dei “nuovi”, però, sono immigrati con residenza a Rimini, quindi tra le nuove povertà non ci sono solo coloro che sono appena arrivati, ma anche quelli che sono da tempo sul territorio, ma non avevano mai avuto bisogno della Caritas (tra i “nuovi” immigrati il 29,3% ha un Permesso di soggiorno di lungo periodo). I senza dimora immigrati incontrati per la prima volta nel 2018 sono il 77,6%. Aumenta il numero degli immigrati celibi. Crescono i problemi relativi al rinnovo dei Permessi di soggiorno.

Per la prima volta gli italiani che non si erano mai rivolti in precedenza alla Caritas, superano il 50% di tutti gli italiani incontrati. Per il 79,7% sono uomini, tra i 45 e i 54 anni. Il 21,7% sono residenti a Rimini, mentre altri sono giunti da diversi comuni, prevalentemente da: Napoli, Roma, Torino e Milano. Il 76,4% degli italiani incontrati per la prima volta nel 2018 è senza dimora. Cresce il numero degli italiani celibi o separati. Tra i nuovi italiani prevalgono problemi relativi all’occupazione, alla salute, ai rapporti familiari e alle dipendenze.

Tra i “ritorni” primeggiano gli italiani, quasi trecento persone, seguiti da rumeni e marocchini, ma si tratta di numeri molto più bassi rispetto al passato, intorno al centinaio, è proprio la diminuzione di queste nazionalità che ha fatto calare il numero complessivo delle persone incontrate.

Aumentano gli italiani con situazioni multiproblematiche

“Mi chiamo Andrea, ho 41 anni, sono cresciuto da solo con mia madre che è rimasta vedova quando io ero piccolo. Vivo a Rimini dagli anni ’90. Dodici anni fa ho avuto un figlio, ma poi i rapporti con la mia compagna sono andati male perché con la crisi ho perso il lavoro. Lei ha deciso di non farmi vedere più mio figlio e io ne soffro molto. Un mese fa, finalmente, in accordo con gli Assistenti sociali, ho potuto trascorrere del tempo con il mio piccolo, insieme alle sue nonne, è stato un pomeriggio meraviglioso. Ma la mia compagna non ha vissuto bene questo incontro e mio figlio ha reagito con atti di bullismo a scuola, è evidente che si sente abbandonato che non vive bene questa situazione. Io però continuo a trovare lavori precari e anche l’estate scorsa ho fatto il cameriere e il portiere notturno, ma non mi hanno messo in regola. Quindi non posso pagare l’affitto e vedere regolarmente il mio bambino, perché non ho una casa dove accoglierlo.”

In termini assoluti,gli italiani aumentano leggermente rispetto al 2017, ma non raggiungono i livelli del 2012, ‘13 e ‘15. Mentre gli immigrati sono in continua diminuzione a partire dal 2010, se nel 2007 rappresentavano il triplo degli italiani, ora sono poco più della metà.
A livello percentuale gli italiani sono passati dal 19,2% nel 2004 al 34,1% nel 2018, mentre se si considerano gli immigrati nello stesso periodo si passa dall’80,6% al 64,5%.
Tra gli italiani i residenti a Rimini sono 176, pari al 30% degli italiani.


Rispetto al 2017 sta leggermente aumentando la presenza delle fasce d’età più giovani. Se si sommano le percentuali di coloro che hanno dai 25 ai 44 anni si raggiunge il 39%, contro il 36% dell’anno precedente.
Sono 472 gli italiani senza dimora, di cui 67 con ultima residenza a Rimini, per la maggior parte tra i 35 e i 54 anni. L’82% degli italiani è disoccupato, il 5% ha un’occupazione, ma precaria e quindi non soddisfacente da un punto di vista economico, un altro 5% ha problemi di disabilità, un altro 5% è pensionato, mentre gli altri o sono casalinghe o hanno altri tipi di attività irregolari.
Come mostra il grafico le problematicità emerse dagli italiani sono maggiori rispetto a quelle degli immigrati, questo fondamentalmente per tre motivi: il primo è perché l’italiano che arriva in Caritas è spesso quella persona che ha perso tutto, che non ha più nessuna rete relazionale di sostegno su cui contare; il secondo è perché spesso gli immigrati non raccontano tutte le proprie problematicità; il terzo è che i volontari che ascoltano sono tutti italiani e non sempre riescono a percepire e captare tutte le difficoltà di coloro che invece sono stranieri.

Migrazione globale

“Mi chiamo Paul, ho vent’anni e sono nigeriano. Sono arrivato in Italia un anno e quattro mesi fa, sono stato seguito da una Cooperativa che mi ha insegnato bene l’italiano, ma non mi ha fatto alcun corso professionale. Nel mio paese ero muratore, qui è difficile trovare un lavoro stabile nell’edilizia e poi oggi mi è scaduto il Permesso di soggiorno e per rinnovarlo dovrei avere la residenza, cosa che non ho perché dormo in strada.”

Nel considerare le aree geografiche dall’Unione europea è stata sottratta l’Italia, in quanto quest’ultima è in crescita, mentre sono in calo tutti i paesi dell’Unione. Oltre all’Italia cresce anche l’Africa, mentre tutte le altre aree geografiche sono in discesa.

Se si considerano le nazionalità, la Caritas diocesana nel 2018 ha incontrato persone provenienti da ben 72 stati diversi, un po’ come se tutto il mondo si fosse incontrato in una sola struttura. È molto triste pensare che persone che hanno fatto migliaia di chilometri per raggiungere l’Italia, si ritrovino ora a dover chiedere aiuto alla Caritas perché, quel Paese che pensavano essere fonte di pace, serenità e ricchezza, si è rivelato in realtà non capace di rispondere alle proprie aspettative.
A livello numerico gli italiani sono in testa, rispetto al passato mentre sono diminuiti di molto rumeni, marocchini, tunisini e ucraini; sono invece andati crescendo: senegalesi, nigeriani, gambiani, maliani e ghanesi: nazionalità che in Italia sono rappresentate da giovani scappati dalle proprie terre per cercare in Europa un futuro migliore. Il problema è che, con la fine dei progetti di accoglienza, anche chi ha ricevuto il Permesso di Soggiorno per Asilo politico, ha comunque riscontrato la difficoltà nel trovare un lavoro e una casa, peggio ancora per coloro che hanno ricevuto il diniego e che quindi dovrebbero tornare in patria, mettendo a repentaglio la propria vita. Se nel 2018 il Centro di Ascolto si è trovato in difficoltà nel riuscire a dare risposte adeguate a questi ragazzi, anche perché non tutti sono riusciti ad apprendere bene la lingua italiana perché analfabeti o privi di titoli di studio, nel 2019 aumenteranno le difficoltà in quanto cresceranno i numeri dei migranti rimasti per strada a causa degli ostacoli creati dal Decreto Sicurezza.

Come mostra il grafico quasi la metà degli immigrati che si sono rivolti alla Caritas ha un regolare Permesso di Soggiorno, oltre un quarto sono cittadini europei e i rimanenti si dividono tra coloro che sono in attesa di ricevere questo documento e coloro che invece ne sono sprovvisti.
Tra coloro che hanno il documento sono 88 quelli con un Permesso per motivi umanitari, 58 con richiesta di asilo, 33 che hanno ottenuto l’asilo politico e 8 con un permesso di protezione sussidiaria, per un totale di 187 migranti.

Aumentano le persone che vivono in strada

“Sono Hamid, ho 55 anni, sono più di 20 anni che vivo in Italia e gli ultimi dieci anni sono stati un inferno. Non riesco più a trovare nulla, prima avevo la partita iva e facevo l’ambulante, ora non riesco più, nessuno comprava più ultimamente. Sono molto arrabbiato, mia moglie prima veniva in Italia a trovarmi ora non viene più perché non riesco a inviarle i soldi. Ma io non voglio tornare in patria così, senza soldi; quando sono partito, tutti i miei familiari e amici mi avevano aiutato a pagare il biglietto, ora come mi presento così? In inverno vado a Milano perché mi danno da dormire 6 mesi, d’estate torno qui, magari trovo da fare il lavapiatti”.

Dal 2011 la percentuale di coloro che vivono in strada non fa che aumentare, si parla di 1.254 persone, tra queste il 65,6% è immigrato ed il 34,4% italiano.
Sono oltre un centinaio le persone che vivono in strada da più di dieci anni e si rivolgono alla Caritas, equamente suddivisi tra italiani e stranieri. Quasi 450 sono senza dimora dagli ultimi dieci anni: tre su quattro stranieri. Quasi 700 quelli che si sono trovati in questa condizione, per la prima volta, nel 2018, due su tre stranieri. Questi dati fanno riflettere perché nonostante siano diminuiti gli immigrati che si sono rivolti alla Caritas, tra quelli che hanno continuato a rivolgervisi la maggior parte è senza dimora. Verrebbe da chiedersi come mai scegliere di rimanere in Italia se si è costretti a vivere in strada? Le risposte principali sono tendenzialmente tre:

  • la prima è legata al fatto che tornare in patria ha un costo, questa motivazione potrebbe essere superata se si pensa che il “rimpatrio assistito” prevede il costo del viaggio di ritorno, ma è uno strumento poco utilizzato.
  • la seconda è che molti riferiscono che in patria non possiedono nulla, non gli è rimasto neppure un familiare e la miseria è talmente elevata che è meglio vivere in strada in Italia che tornare a vivere nel proprio Paese dove non esistono neppure sistemi di assistenza come la Caritas.
  • la terza è che la maggior parte, seppur non lo dichiara apertamente, non parte perché non accetta il fallimento, “per la cultura africana il partire è un evento che coinvolge tutta la comunità, ma il fallimento è individuale” (Filomeno Lopes, giornalista di Radio Vaticana).

Rimanere per tanto tempo in strada implica spesso la perdita della residenza, sia per gli italiani che per gli stranieri (se in precedenza ne erano in possesso), questo comporta l’aggravante di non potersi iscrivere al Centro per l’Impiego, fare domanda per una casa popolare e non avere neppure il diritto di essere seguiti da un medico di base. A questo proposito è nato l’Ambulatorio Nessuno Escluso, proprio per le persone senza dimora, un servizio gestito da medici e farmacisti volontari, aperto due volte a settimana, con lo scopo di tutelare il benessere di coloro che vivono in strada.

Ma l’assenza di una casa non è solo una questione burocratica, il protrarsi di questa situazione fa sì che le persone si scoraggino, che perdano fiducia in se stesse, smettano di cercare un lavoro e si adattino a vivere alla giornata. Compito dei volontari del Centro di Ascolto è proprio quello di spronare, incoraggiare e portare speranza a coloro che l’hanno perduta, aiutare a ritrovare fiducia nelle proprie capacità e a rimettersi in gioco.

Stato civile: prevalgono i celibi, ma aumentano i separati e divorziati

“Mi chiamo Stefano, ho 54 anni, l’ultimo anno ho lasciato il lavoro perché mia madre si era aggravata e mi sono voluto prendere cura di lei, così ho perso il mio lavoro e dopo poco anche lei. I miei fratelli mi hanno ingannato, vendendo la casa di nostra madre e non dandomi la parte della mia eredità. Non ho più nulla e nessuno a cui chiedere aiuto perché non mi sono mai sposato.”

Sia per gli italiani che per gli stranieri la percentuale più alta è rappresentata da coloro che sono celibi o nubili, con la differenza che per gli immigrati nella maggior parte si tratta di giovani, mentre tra gli italiani prevalgono coloro che hanno tra i 35 e i 54 anni. Rimanere celibi comporta spesso il rischio di rimanere soli. I genitori, prima o poi muoiono e non sempre i rapporti con gli altri parenti sono così forti da sostenerti in caso di necessità. Se si perde il lavoro, si rischia velocemente di perdere anche casa perché non ci sono altri familiari sui quali fare affidamento e con i quali condividere i beni economici.

I coniugati sono per il triplo stranieri, mentre separati e divorziati italiani sono esattamente il doppio degli immigrati. In particolare i volontari del Centro di Ascolto riferiscono di aver riscontrato un aumento di italiani separati e divorziati nell’ultimo anno, spesso provenienti anche dal nord Italia. In questo caso la fascia d’età più colpita è quella tra i 45 e i 54 anni, 3 su 4 sono uomini, quasi tutti disoccupati e senza dimora, il 72% ha figli, ma sono solo in 4 gli uomini che vivono con essi, tutti gli altri vivono soli.

Più si è soli più si è poveri

“Sono Luca, ho 48 anni, mia madre non mi vuole più vedere, non la biasimo. In questi anni sono stato 5 volte in carcere, mi sono incasinato con la droga, ci ricado sempre. Ora vorrei farmi aiutare da San Patrignano, ma non so come fare. Non ho più nessuno a cui chiedere aiuto. Nessuno si fida più di me!”

La caratteristica più evidente di coloro che si rivolgono alla Caritas diocesana è la solitudine, in passato si equiparavano quelli che vivevano soli con quelli che vivevano con conoscenti, oggi invece è predominante la presenza di chi vive solo. Non sappiamo bene se questo dato sia reale o falsato, nel senso che alcuni potrebbero aver dichiarato di dormire soli, pur se in realtà vivono con altri, ma questa dichiarazione è comunque sintomatica del fatto che “gli altri” li considerano estranei e quindi affermano di essere soli.

Il fattore più grave è l’assenza di relazioni, sempre più persone, soprattutto italiane, affermano di avere pessimi rapporti con i familiari o di non averne affatto, spesso è proprio questa la causa principale che fa cadere in povertà.
A livello economico la povertà viene descritta sinteticamente come l’assenza di reddito dovuta alla mancanza di lavoro, eppure questi due fattori non sono gli unici a far sì che la persona si ritrovi povera. Nel momento in cui la rete familiare e amicale sostiene questo periodo di difficoltà, la persona, riesce a superarlo e ad uscirne, quando invece famiglia e amici si allontano ed abbandonano, ecco che allora vengono meno i punti fermi, ci si demotiva e in un attimo ci si ritrova poveri. Il passaggio da questa condizione al rivolgersi alla Caritas non è così immediato. Riconoscere la propria situazione, ammettere di avere bisogno; alcuni ci impiegano mesi o anni prima di trovare il coraggio di chiedere aiuto, altri pochi giorni e altri non lo faranno mai. Il momento del primo colloquio è indubbiamente il più delicato, superato il primo scoglio si scopre poi che quel volontario è un volto amico, diventa un punto di riferimento sul quale si può contare. Rispetto a quelli che non si rivolgeranno mai, la Caritas non è indifferente. Le Caritas parrocchiali, si sono attivate attraverso visite e consegne di alimenti a domicilio su segnalazioni del parroco o dei parenti o dei vicini di casa. La Caritas diocesana in questo senso svolge il servizio del “Giro nonni” e, dal 2019, ha iniziato ad andare, una volta a settimana, in strada per stare vicino ai senza dimora.

Le famiglie che si rivolgono alla Caritas diocesana sono spesso coloro che vengono inviate dai Servizi sociali, dall’Ausl o dall’Uepe, ma anche dalle Caritas parrocchiali in quanto situazioni complesse con le quali si cerca di costruire dei percorsi insieme. Oppure sono quelle che si rivolgono per iscrivere i propri figli al Centro educativo in quanto hanno un basso reddito e non sono nelle condizioni di aiutare il bambino nel sostegno scolastico perché in difficoltà con la lingua italiana. Oppure famiglie che si rivolgono per chiedere di poter essere inserite in graduatoria all’Emporio solidale. Tra coloro che hanno una casa prevalgono italiani, marocchini, rumeni, senegalesi, albanesi e ucraini. Il 51,4% di coloro che vivono con un tetto sopra la testa sono famiglie, tra queste il 71,3% ha figli minori conviventi.

Sempre più disoccupati

“Timeo, 38 anni. Ho trovato lavoro nelle campagne, giro un po’ in tutta Italia tra la raccolta delle mele, olive, uva, pesche, pomodori, arance, ma è difficile riuscire a realizzare uno stipendio decente ogni fine del mese.
Sto valutando di ritornare a vivere definitivamente in Romania.”

La percentuale dei disoccupati non tende a diminuire, l’assenza di lavoro è indubbiamente una delle cause principali che portano le persone a cadere in una situazione di povertà.

È importante segnalare però che nel 2018 sono state diverse le persone che ci hanno dichiarato di aver trovato delle occupazioni o di essere in parola con dei datori di lavoro, il problema però è che, nella maggior parte dei casi, si è trattato di impieghi momentanei e di basso profilo. Si tratta cioè di occupazioni che non permettono di garantire uno stipendio sufficiente per le spese dei bisogni primari. E anche nel caso in cui si riesca a lavorare tutto il periodo della stagione estiva, i soldi non sono comunque abbastanza per tutto l’anno. Le persone che si sono rivolte a noi dichiarando di essere impegnate in lavori temporanei, sono state indicate come occupate nel caso in cui il contratto fosse ancora in essere e disoccupate nel caso in cui fosse terminato o ci fossero solo prospettive per il futuro, perché comunque queste promesse potrebbero, purtroppo, non essere certezze.

Le risposte della Caritas Diocesana

Ascolti 6.823 (a 1.716 persone)

Pasti 80.331
Mensa I turno (pubblica, previo colloquio al Centro di Ascolto) 39.158
Mensa II turno (per coloro che vivono in struttura) 12.086
Cene per coloro che sono accolti nel dormitorio 12.715
Pasti a domicilio per gli anziani (giro nonni) 15.892
Pasti per coloro che sono stati fermati dalle forze dell’ordine 480
Docce 2.826 (a 566 persone)
Indumenti 1.996 (a 572 persone)
Alloggio (prima accoglienza) 5.887 notti (a 628 persone)
Seconda Accoglienza 2.716 notti (a 21 persone)
Farmaci 948 (in 486 visite)
Materiali scolastici 71 (a 43 famiglie)
Sussidi economici € 44.351