Analisi di tutti i CdA

I dati di seguito presentati fanno riferimento a tutte le realtà Caritas attive nella diocesi di Rimini che utilizzano il programma Ospoweb, piattaforma informatica ideata da Caritas Italiana, che permette di monitorare e verificare i dati delle Caritas presenti a livello nazionale che hanno scelto di aderire al programma (185 diocesi, pari all’84,8% delle Caritas diocesane di Italia).
Nella Diocesi di Rimini sono collegate in rete 50 realtà Caritas, trattasi di: 44 Centri di Ascolto parrocchiali, il Centro di Ascolto della Caritas diocesana, il progetto del Fondo per il Lavoro, l’Emporio solidale, l’Ambulatorio Nessuno Escluso e l’Ambulatorio infermieristico di Riccione.
È da precisare che nel 2018 quattro Caritas parrocchiali non hanno inserito i dati nel programma per mancanza di volontari o per motivi logistici, si tratta di: Gesù Nostra Riconciliazione, San Giovanni Battista, San Biagio Vescovo di Roncofreddo e Santi Angeli Custodi di Riccione, inoltre la parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice, conosciuta come Salesiani, nel 2018 ha avviato lavori di ristrutturazione e di conseguenza anche i servizi Caritas sono stati sospesi, quindi anche i dati di questa Caritas parrocchiale sono esigui rispetto al passato.
L’analisi farà riferimento ai 4.846 intestatari delle schede e non a tutti gli individui appartenenti ai nuclei familiari. Complessivamente nel 2018 le Caritas hanno infatti aiutato oltre 10 mila persone, tra cui più di 2.300 minori.

Diminuiscono le situazioni di povertà

Come riscontrato nel 2017, anche nel 2018 continua a calare il numero delle persone incontrate dalle Caritas. Se consideriamo che cinque parrocchie non hanno inserito dati nell’ultimo anno, si può affermare che il numero sia rimasto costante rispetto all’anno precedente, ma comunque in discesa rispetto al 2016.

Le motivazioni del calo, raccontate dai volontari, fanno riferimento alle seguenti ipotesi:

  • Alcune persone possono finalmente aver trovato un impiego e non aver avuto più bisogno di rivolgersi alla Caritas;
  • Altre persone possono aver optato di spostarsi da Rimini: alcuni immigrati, specialmente rumeni, hanno scelto di tornare in patria, altri, tra cui diversi nord africani, di spostarsi in altre città europee;
  • richiesta di presentare il modello Isee (obbligatorio se si vuole aderire al programma ministeriale di Agea che permette di acquisire gratuitamente beni alimentari) può aver disincentivato alcuni a rivolgersi alla Caritas, considerando che Agea ha indicato come tetto massimo per ricevere gli aiuti, un Isee non superiore ai 3 mila euro;
  • La chiusura dei porti e le nuove politiche relative all’immigrazione hanno inevitabilmente arrestato il flusso dei nuovi arrivi;
  • Le nuove misure di sostegno al reddito (SIA, REI e RES), avviate già dal Governo Renzi, quindi entrate in vigore nell’anno appena trascorso, possono aver aiutato economicamente alcune famiglie che quindi non hanno più avuto la necessità di rivolgersi alla Caritas.

I “nuovi” sono giovani, i “ritorni” famiglie

Il 68,8% del totale degli italiani che si sono rivolti alle Caritas nel 2018, avevano già precedentemente chiesto aiuto. Tra gli stranieri la percentuale è invece 65,2, con prevalenza di: marocchini, rumeni, albanesi, bosniaci e sudamericani, per la maggior parte giunti in Italia nel primo decennio del 2000. Gli stranieri che ritornano hanno per la maggior parte tra i 35 e i 44 anni, mentre gli italiani sono tra i 45 e i 54.

Tra gli italiani è interessante notare che la percentuale di coloro che vivono soli, è la medesima di chi vive in famiglia (42,4%), mentre per i cittadini immigrati che ritornano il 49,2% vive in famiglia, il 24,4% da solo e il 20% con altri connazionali. Si può quindi affermare che sono le famiglie quelle che vivono per maggior tempo in una situazione di disagio, al punto da dover rivolgersi alle Caritas per più anni di seguito. Il 65,5% delle famiglie che sono tornate in Caritas ha figli minori conviventi. È importante sottolineare che, tra coloro che ritornano e che vivono in famiglia, il 20% ha un’occupazione, ma il reddito di questa non gli consente di provvedere ai bisogni di tutto il nucleo familiare. Si tratta infatti spesso di lavori precari o sottopagati; quelli che oggi vengono definiti “working poors” (lavoratori poveri).

Tra le persone che si sono presentate per la prima volta nel 2018 la percentuale di giovani è più alta rispetto al totale degli utenti, essi rappresentano il 30% dei “nuovi”. Tra i giovani spiccano i migranti, in aumento: nigeriani, pakistani, afgani, libici, guineensi e somali.
Il 40% dei “nuovi” è italiano ed ha un’età media di 49 anni. Tra gli italiani il 41% è celibe o nubile ed il 29% separato o divorziato, mentre tra gli immigrati il 41% è coniugato ed il 35% celibe o nubile.
Rispetto al Comune di residenza gli italiani venuti per la prima volta in Caritas nel 2018 sono per il 44,3% della diocesi di Rimini, per il 6,8% della Campania, per il 5,7% delle altre province dell’Emilia Romagna, per un altro 5,7% della Puglia e per il 4,4% della Lombardia. Rispetto al passato è aumentato il numero degli italiani residenti nel nostro territorio, segnale sicuramente non positivo. Il 51% delle persone incontrate per la prima volta nel 2018 è senza dimora, pari a 828 persone, tra questi il 61% è straniero ed il 39% italiano.

Possiamo quindi affermare che le nuove povertà sono caratterizzate da un aumento di persone che vivono in strada, da italiani soli che hanno un’età intorno ai 50 anni e da giovani migranti che non sanno come organizzare la propria vita dal momento che sono mutate le modalità relative all’accoglienza e all’accompagnamento.

La povertà colpisce più gli uomini

A partire dal 2014 è aumentata la presenza di uomini che si rivolgono alle Caritas. Se si considera la cittadinanza il 58,5% degli italiani è di sesso maschile, mentre tra gli stranieri gli uomini sono il 53,5%.
La maggior parte degli uomini italiani ha tra i 45 e i 54 anni, mentre quelli stranieri tra i 35 e i 44.

Rispetto alle nazionalità ce ne sono alcune che sono rappresentate esclusivamente da maschi: Gambia, Mali, Guinea, Afghanistan, Liberia, Iraq, Sierra Leone, Benin, Libia e Siria. Terre di guerre, conflitti, persecuzioni, miserie, da dove gli uomini intraprendono viaggi massacranti e spesso mortali, da dove fuggono per ricercare la libertà, la pace e il benessere. Verrebbe da chiedersi perché la presenza sia esclusivamente maschile, le risposte possono essere diverse: la prima è che a partire sono indubbiamente più gli uomini delle donne; la seconda è che i viaggi purtroppo spesso prevedono periodi di carestia, prigionia, violenze, dove le donne non sempre riescono a sopravvivere e, se resistono, ne escono comunque molto provate; la terza è che a volte, arrivate in Italia, vengono intercettate dai racket della prostituzione e non riescono ad essere inserite nei circuiti dei progetti di accoglienza.

Un’altra caratteristica che contraddistingue gli uomini che si rivolgono alla Caritas, rispetto alle donne, è che i primi, nel 52% dei casi, vivono soli, mentre le seconde, per il 65%, vivono in famiglia e chiedono un sostegno per tutto il nucleo familiare. Le donne sono per la maggior parte marocchine, albanesi, rumene e senegalesi, c’è anche un’alta presenza di ucraine (sono il 10% di tutte le donne), queste però hanno un’età superiore ai 50 anni, vivono prevalentemente sole o con altre connazionali e sono impegnate nel settore dell’assistenza familiare.

Per quel che riguarda gli uomini è interessante considerare i profili professionali:

  • tra gli italiani prevalgono quelli specializzati o alla ricerca di un lavoro, nel settore: della ristorazione, dell’industria, del turismo, dell’edilizia o dell’artigianato;
  • tra gli stranieri spiccano: edilizia, industria, agricoltura e tuttofare.
  • in entrambi i gruppi sono presenti uomini che avevano tentato anche di lavorare in autonomia come venditori con partita iva, imprenditori o dirigenti. Complessivamente si tratta di 68 persone che, purtroppo, per varie ragioni, hanno visto fallire i propri sogni.

L’assenza di un lavoro per un uomo provoca purtroppo una serie di conseguenze: con la perdita dell’occupazione frequentemente vanno in crisi i rapporti sentimentali e il rischio di rimanere soli diventa più alto; a livello psicologico sussiste un senso di frustrazione, fallimento, a volte rabbia, altre volte apatia, che non aiuta a mantenere positive le relazioni affettive. Spesso la disoccupazione incide sull’autostima e sulla capacità di ricostruirsi un profilo professionale. Non è un caso che gli uomini che si rivolgono alla Caritas siano più frequentemente soli e senza dimora.

Rispetto alle Caritas parrocchiali, la presenza più alta è in genere quella femminile, ma, ultimamente, sta crescendo quella maschile, in particolare gli uomini hanno superato le donne nella Caritas di San Giuliano martire, la Resurrezione, Montalbano e Sogliano. Sono stati sempre i più numerosi nella Caritas diocesana, nell’Interparrocchiale di Riccione e a Cattolica, perché sono realtà che offrono servizi per i senza dimora come mense, docce e dormitori.

Aumentano adulti e anziani

Tra le persone incontrate per la prima volta nel 2018, spicca la percentuale relativa ai giovani (30%), in particolare si tratta di profughi, richiedenti asilo e italiani, mentre in passato i giovani erano quasi esclusivamente provenienti dall’est Europa e dal Nord Africa. Rispetto ai giovani abbiamo dedicato un capitolo specifico, per cui in questo paragrafo non faremo alcun commento in merito, ma cercheremo piuttosto di comprendere chi sono gli over 35, dato che rappresentano, comunque, il gruppo più numeroso.
I 35-44enni sono perlopiù marocchini, rumeni, senegalesi e albanesi, quasi in egual misura maschi e femmine, per la maggior parte coniugati (64%) e celibi o nubili (23%).

La fascia d’età che si è alzata maggiormente è quella tra i 45 e i 54 anni, un periodo della vita che dovrebbe essere caratterizzato dalla stabilità: nel lavoro, con la famiglia, con la salute. Invece, soprattutto da quando c’è stata la crisi economica, è diventata la fascia d’età più a rischio, anche perché nella misura in cui si perde il lavoro non sempre il rapporto coniugale resiste ed è un attimo ritrovarsi soli. L’incalzare di eventi negativi spesso si ripercuote anche sulla salute e quindi diventa ancora più difficile riuscire a trovare un nuovo lavoro. Tra i 45-54enni prevalgono italiani, rumeni, nordafricani e russi, quest’ultimi sono esclusivamente donne, mentre le altre nazionalità vedono gli uomini al 65%.Tra gli italiani prevalgono celibi e nubili, tra le altre nazionalità i coniugati, eccetto le russe che, per oltre la metà, sono separate.

Passano dal 12% nel 2010 al 17% nel 2018, i 55 – 64enni, quindi anche in questo caso si parla di un aumento. I più rappresentati sono gli italiani, seguiti da rumeni, ucraini, marocchini e senegalesi. Rumene e ucraine sono per la maggior parte donne, le italiane sono il 35%, mentre marocchini e senegalesi sono, per oltre l’85%, uomini. Rispetto allo stato civile coniugati e separati o divorziati si equivalgono. È questa infatti la fascia d’età con il più alto numero di separati e divorziati che si rivolge alla Caritas.
Gli over 65 sono in gran parte italiani, albanesi e ucraini, per la maggior parte donne e, per entrambi i sessi, prevalgono divorziati e separati.

Rispetto alle Caritas parrocchiali, in tutte la presenza più elevata è caratterizzata dagli adulti. Se si considera i giovani ci sono però Caritas che hanno percentuali più alte rispetto ad altre e sono: Viserba, Alba Mater e Morciano, in quanto hanno dei servizi dedicati alle mamme con i bambini piccoli; Caritas diocesana e Riccione interparrocchiale, che incontrano profughi e giovani italiani senza dimora; Misano, Verucchio e Bellaria, che assistono in gran parte giovani famiglie straniere con bambini.

Gli anziani spiccano presso le Caritas della Colonella, di Spadarolo-Vergiano, Corpolò, San Martino e Fontanelle di Riccione, San Giovanni in Marignano e Santarcangelo. Si tratta di località dove sono presenti case popolari, spesso abitate da persone con età superiore ai 65 anni.

Cittadinanze a confronto

Se si considerano i valori percentuali è evidente come, negli ultimi anni, la presenza in Caritas degli stranieri stia andando gradualmente avvicinandosi a quella degli italiani. Per comprendere meglio questi dati è però necessario considerare anche i valori assoluti.


I numeri mettono ben in evidenza come siamo passati da un 2011 con quasi 5.300 immigrati e 1.200 italiani a un 2018 dove gli stranieri non raggiungono neppure le 3.000 unità, mentre gli italiani sono quasi 2.000. Cos’è successo in questi anni? Innanzitutto diversi stranieri hanno scelto di spostarsi, o di tornare in patria o, molto più frequentemente, di recarsi in altre città di Europa. In particolar modo sono calati coloro che provengono dall’est Europa (andamento rilevato anche da Caritas Italiana in “Povertà in attesa”, Maggioli editore 2018). L’economia italiana non è riuscita a ritornare ai valori pre-crisi e quindi molti, tra cui anche connazionali, hanno perso il lavoro e sono caduti in situazione di povertà.

Le caratteristiche degli italiani

Le donne italiane sono equamente coniugate (27,9%), nubili (27,2%) e separate o divorziate (26,7%), e vivono, per la maggior parte in nuclei familiari; gli uomini invece sono per il 44,5% celibi e per il 28,4% separati o divorziati e vivono prevalentemente da soli. Negli ultimi anni è emerso più volte, dai mass media, il problema degli uomini separati perché spesso oltre alla famiglia perdono la casa e si ritrovano in strada. In realtà, il problema della separazione e del divorzio ricade altrettanto sulle donne, perché non sempre gli ex mariti pagano il mantenimento e perché, trovandosi sole, faticano nella gestione della casa, dei figli e del lavoro. Sarà da verificare se, nel 2019, con l’entrata in vigore della Legge Pillon, aumenteranno le persone separate e divorziate che si rivolgeranno alla Caritas o se, al contrario, diminuiranno per gli effetti della Legge, sarà poi interessante constatare l’aumento o la diminuzione in base al genere.

Gli italiani senza dimora sono 520 (413 uomini e 107 donne), pari al 28,7% di tutti gli italiani, tra questi 124 avevano l’ultima residenza a Rimini, mentre gli altri provengono prevalentemente da Campania, Puglia e Lombardia.

Gli italiani aumentano presso le Caritas parrocchiali di: Corpolò (78,9%), Fontanelle di Riccione (70,8%), San Martino di Riccione (70,6%) e Colonella (70,3%) si tratta per la maggior parte di zone in cui sono presenti casi popolari e dove anche la percentuale di anziani residenti è abbastanza elevata.

I residenti a Rimini

Sono notevolmente aumentate le persone che hanno residenza a Rimini e che vivono una situazione di disagio. Se in passato le persone che facevano ricorso alla Caritas erano quelle appena arrivate su suolo riminese e si trovavano in difficoltà perché non conoscevano nessuno, oggi alle Caritas si rivolgono prevalentemente i residenti, complessivamente si tratta di 3.209 persone, di cui 1.334 italiani, 1.805 stranieri e 70 con doppia cittadinanza. Questo è un segnale alquanto grave, implica che è venuta meno la solidarietà tra vicini, i rapporti familiari e amicali sono divenuti più fragili, altrimenti le persone non avrebbero necessità di rivolgersi alla Caritas per essere aiutate, ma farebbero affidamento su amici e parenti.

Tra i problemi più evidenziati dai residenti emergono quelli relativi alla famiglia, ne hanno 2 italiani su 5, salgono i casi di separazione e divorzio e i rapporti conflittuali tra genitori e figli, tra coniugi o conviventi e tra parenti. Verrebbe da chiedersi se ci sia un modo per prevenire queste situazioni, per aiutare le famiglie a ritrovare un dialogo sano che permetta rapporti affettivi capaci di donare comprensione e solidità. Una proposta potrebbe essere attivare delle antenne in punti diversi della città, con lo scopo di intercettare situazioni vulnerabili al fine di prevenire situazioni a rischio di povertà. In particolare si potrebbero coinvolgere: farmacisti, medici di base, ma anche parrucchieri, insegnanti, sportellisti di banche, persone cioè che entrano in contatto con le famiglie sia nel momento in cui queste si trovano nel bisogno, sia nella quotidianità. Sarebbe necessario cioè mettere in atto azioni di rete con più soggetti del territorio, ri-innescando circuiti di solidarietà di vicinanza. Progetti del genere la Caritas ha più volte provato a metterli in atto, ma con scarsi risultati, sarà comunque nostra cura non arrenderci e avere pazienza di continuare a tessere reti per prevenire ulteriori situazioni di disagio.

Tra le persone che avevano l’ultima residenza a Rimini sono 311 quelle prive di dimora (124 italiani e 181 stranieri) e 73 quelli che hanno avuto un mandato di sfratto. Resta elevato il problema dell’alto costo degli affitti e a questo si aggiunge la questione dei residence che, d’inverno ospitano a prezzi contenuti e d’estate invece i costi lievitano e costringono le famiglie ad abbandonare queste soluzioni abitative.

Aumentano gli africani

Il grafico mette in evidenza la diminuzione delle persone provenienti dall’Europa, mentre sono in aumento gli africani, soprattutto dall’Africa occidentale. Il perché della diminuzione degli europei è da attribuirsi principalmente a tre fattori:

  1. diversi hanno optato per il rientro in patria o per lo spostamento in altri paesi d’Europa, poiché in Italia non riuscivano più a trovare lavoro;
  2. altri non hanno semplicemente più avuto bisogno di rivolgersi alla Caritas perché hanno trovato altri canali a cui chiedere aiuto o perché hanno fatto rete con i propri connazionali o parenti che, nel frattempo, possono essersi trasferiti a loro volta in Italia;
  3. altri possono aver trovato lavoro.

La tabella della principali nazionalità mette ben in evidenza come i valori assoluti di ciascun Paese siano nettamente diminuiti, nonostante a livello percentuale la differenza sembri minima; ad esempio: Marocco da 23,7% nel 2016 a 21,4% nel 2018, a livello numerico passa da 1.040 persone a 644; Romania da 15,3% a 14,6% che corrisponde da 671 a 437; Albania da 9,4% a 8,6% cioè da 413 a 257.

Tra gli africani ci sono sia coloro che sono arrivati in Italia a partire dal 2011 con lo scoppio della cosiddetta Primavera araba e dalle successive situazioni di conflitto e oppressione; che coloro che erano arrivati verso la fine degli anni ’90 e ora si trovano in difficoltà perché non riescono più a sostenere le proprie famiglie (sia che esse siano venute in Italia o siano rimaste in patria), perché non trovano più occasioni di lavoro.

2018 2017 2016
Principali nazionalità v.a. % v.a. % v.a. %
Marocco 644 21,4 743 22,1 1.040 23,7
Romania 437 14,6 491 14,6 671 15,3
Senegal 306 10,2 320 9,5 427 9,7
Albania 257 8,6 318 9,5 413 9,4
Ucraina 255 8,5 309 9,2 421 9,6
Tunisia 176 5,9 189 5,6 253 5,8
Nigeria 98 3,3 82 2,4 93 2,1
Moldavia 67 2,2 84 2,5 106 2,4
Macedonia 54 1,8 57 1,7 77 1,8
Russia 42 1,4 52 1,5 68 1,5
Bulgaria 39 1,3 64 1,9 69 1,6
Bosnia-Erzegovina 37 1,2 41 1,2 37 0,8
Algeria 35 1,2 33 1,0 42 1,0
Egitto 35 1,2 25 0,7 29 0,7
Polonia 35 1,2 29 0,9 33 0,8
Pakistan 34 1,1 29 0,9 32 0,7
Gambia 33 1,1 22 0,7 13 0,3
Perù 30 1,0 42 1,2 51 1,2
Costa d’Avorio 27 0,9 23 0,7 27 0,6
Ghana 27 0,9 24 0,7 16 0,4
Mali 26 0,9 16 0,5 15 0,3
Altri (per un totale di 64 nazioni diverse nel 2018) 309 10,3 369 11,0 460 10,5
Totale immigrati 3.003 100 3.362 100 4.393 100

In entrambe le situazioni ci sono, sempre più frequentemente, dei problemi relativi al Permesso di Soggiorno. I migranti che avevano ottenuto un Permesso per motivi umanitari, con l’avvio del Decreto Sicurezza, non potranno più rinnovare il proprio documento, ma saranno costretti a trasformarlo in Permesso di Soggiorno per lavoro, questo ovviamente implicherà che dovranno riuscire a trovare un impiego ed essere in possesso del passaporto; documento, quest’ultimo, che non sempre viene rilasciato dalla propria Ambasciata o Consolato in Italia, ma costringe il migrante a rientrare in patria con il rischio poi di non essere più nelle condizioni di affrontare il viaggio.

Per coloro che invece sono in Italia da tempo, ma non sono riusciti in questi anni ad ottenere la Carta di Soggiorno e quindi ad avere un documento con scadenza illimitata, resta il problema del rinnovo del Permesso perché senza lavoro non sono più nelle condizioni di rimanere in Italia, nonostante sentano questa nazione come propria e i propri figli siano nati e/o cresciuti qui.

In tutte le Caritas parrocchiali, nessuna esclusa, è diminuita la presenza di cittadini stranieri.

Povertà estrema: oltre 1.600 persone in strada

Il territorio della diocesi di Rimini si presta a molta mobilità interna, a volte Rimini rappresenta un luogo di passaggio, dove fermarsi per la ricerca di un lavoro estivo, altre volte invece viene scelta come dimora per la propria casa perché risulta accogliente, ospitale, con un’ampia scelta di servizi di eccellenza (tra cui diversi legati al sanitario e al sociale come ad esempio San Patrignano, Centro Autismo dell’Ausl, collegato con l’Ass. Riminiautismo, l’Ass. Papa Giovanni XXIII e altri) per i quali intere famiglie o singole persone si spostano, pensando di trovare una risposta certa e sicura per la propria vita. Ma quando le persone arrivano a Rimini scoprono che i costi degli affitti sono molto elevati (è la seconda città in regione, dopo Bologna, per costo al metro quadro) e quindi, alcune restano senza dimora e altre finiscono in strada nel momento in cui ricevono uno sfratto per morosità.

Nel 2018 oltre 1.600 persone si sono ritrovate a chiedere aiuto alla Caritas perché senza dimora, in particolare hanno fatto riferimento alla Caritas diocesana, all’interparrocchiale di Riccione e alla Caritas di Cattolica per: accedere alla mensa, fare la doccia, ricevere abiti puliti, richiedere gratuitamente farmaci da banco (solo a seguito di visita medica e alla presenza di un farmacista) e per essere accolti a dormire per qualche tempo (ad esclusione dell’interparrocchiale di Riccione che non ha posti letto).

Per coloro che avevano come ultima residenza Rimini (311 persone) la Caritas costruisce percorsi mirati, coinvolgendo (nella misura in cui le persone stesse sono disponibili a collaborare) i Servizi sociali, l’ufficio casa per la richiesta di una casa popolare, il Sert o il CSM (se necessari) e indirizza al Centro per l’Impiego. Quando invece le persone perdono la residenza anagrafica, i problemi diventano più gravi perché non si viene presi in carico dai servizi territoriali e trovare un lavoro diventa più complicato se non si hanno documenti validi e un indirizzo da comunicare, oltre al fatto che non è semplice presentarsi puliti e in ordine sul posto di lavoro se si dorme in strada. Così queste persone si ritrovano a girare tra le diverse Caritas presenti in Italia. Sono 401 i senza dimora che nel 2018, oltre alle Caritas della diocesi di Rimini, si sono rivolti a più Caritas in Italia, pari al 24,7% dei senza dimora incontrati, si tratta in gran parte di italiani e nord africani arrivati in Italia nei primi anni del 2000. Provengono principalmente dalle Caritas limitrofe: Senigallia, Pesaro, Cesena, Ancona e Fano.

2.359 minori vivono in povertà a Rimini


Coloro che hanno un domicilio sono il 66% delle persone incontrate, l’abitazione più diffusa è la casa in affitto da privato (46%), ma sono sempre più frequenti anche coloro che vivono in case popolari (10%) o che hanno una propria abitazione (5%) ma, o non sono in grado di sostenere le spese del mutuo, oppure non hanno nessun reddito per poter provvedere ai costi delle utenze.

Vive con la propria famiglia: il 74% di coloro che sono in casa in affitto, il 66% di chi è in casa popolare ed il 63% di chi è in casa di proprietà. Si può quindi affermare che tra coloro che hanno un domicilio, si sono rivolte alle Caritas prevalentemente nuclei familiari, tra questi il 49,7% ha figli a carico, complessivamente si tratta di 2.359 minori. Questi bambini e ragazzi subiscono non solo la precarietà economica, ma anche le scelte, i sacrifici e a volte i litigi da parte dei genitori (in 337 casi il genitore è solo, quindi la parte conflittuale i bambini l’hanno probabilmente vissuta in precedenza). Queste situazioni rovinano inevitabilmente l’infanzia e sono fattori di rischio per il futuro del bambino, ci sono infatti studi che mostrano come purtroppo la povertà si trasmetta di generazione in generazione. Tuttavia ci auguriamo che quei bambini, un domani, uomini e donne, siano in grado di resistere di fronte alle difficoltà e di saperle affrontare mettendo in atto le tante strategie, acquisite proprio da questo periodo difficile.

Diverse parrocchie, in questi anni, si sono attivate con servizi specifici per bambini: c’è chi si è dedicata alla prima infanzia e dona pannolini, indumenti, carrozzine, alimenti per neonati (Coriano, Alba Mater di Riccione, Morciano, Santarcangelo) ed organizza anche attività didattiche per agevolare il rapporto tra genitori e figli (come avviene nella Caritas del Crocifisso e di Viserba Sacramora), chi si è impegnato nell’offrire un sostegno ai genitori attraverso la creazione di dopo-scuola (Caritas diocesana, Riconciliazione, San Giovanni Battista, Regina Pacis, Bellariva e Rivazzurra, Miramare, Viserba, San Lorenzo in strada, San Martino di Riccione, Alba Mater, Fontanelle, Misano, Cattolica, San Giovanni in Marignano, Morciano, Coriano, San Vito, Bellaria e Savignano) e chi raccoglie e distribuisce materiale scolastico.

Separati e divorziati in povertà

Il gruppo maggiore di coloro che si rivolgono alla Caritas è composto da coniugati, seguiti da celibi e nubili, ma se si raffrontano i dati dei residenti a Rimini che sono ricorsi alla Caritas, con il totale della popolazione riminese, suddivisa per stato civile e sottratta dai minori di 20 anni, si scopre che quasi 5 separati o divorziati su 100 ha avuto bisogno della Caritas, rispetto all’1 su 100 dei coniugati.

Celibi/nubili Coniugati/e Divorziati/e Vedovi/e
Totale popolazione
Rimini
over 20 (2018)

90.362

150.744

11.913

23.480

Utenti Caritas
residenti a
Rimini

728

1616

564

231

%

0,8

1,1

4,7

1,0

Tra i separati e divorziati 381 vivono soli (per il 54% si tratta di uomini), 150 invece abitano insieme ai figli minori, prevalentemente donne.

Alle difficoltà oggettive quali il disfacimento del nucleo familiare, la perdita o il cambiamento del luogo di abitazione, l’assenza del lavoro e il reddito insufficiente a gestire questa nuova fase della vita; si aggiunge, molto spesso, il senso di fallimento e di frustrazione dato dal vedere il proprio sogno di famiglia andare in frantumi. Seppur molto spesso la rottura di un matrimonio sia, per entrambi i coniugi, una sorta di liberazione, è pur vero che, passato il momento di rabbia e euforia iniziale, si passa al senso di colpa, alla solitudine e si è costretti a trovare la forza per ricominciare tutto da capo e imparare a gestire il proprio tempo in modo diverso, specie se si hanno figli.

Tra le persone separate e divorziate che si incontrano in Caritas, la maggior parte racconta che i problemi di coppia sono iniziati nel momento in cui è venuto meno il lavoro: sono nate o si sono intensificate tensioni, è stato necessario riorganizzare il proprio stile di vita, modificare il proprio modo di fare acquisti, alle volte si è stati costretti a chiedere un prestito ai familiari o agli amici, ci si è ritrovati a gestire problematiche alquanto delicate. Se la coppia non era abituata al dialogo, al confronto e se proveniva da famiglie con un tenore di vita molto alto, il cambiamento è risultato difficile.

Fatta questa analisi è importante considerare che il numero più alto di coloro che si rivolgono alla Caritas è composto da coniugati, questo vuol dire che sono sì nuclei in una fase difficile della propria vita, ma stanno comunque cercando di resistere e di superare insieme, come famiglia, le difficoltà. La Caritas quindi diventa un luogo dove si è certi di poter essere ascoltati, di trovare conforto, di essere accompagnati in questa fase di cambiamento, ma anche di potersi confrontare con altre famiglie che si trovano nella stessa situazione. In questi periodi della vita è molto importante non sentirsi soli e sapere di poter fare affidamento su persone non solo fidate, ma anche di fede.

Famiglie e persone sempre più sole

Come ribadito più volte, le famiglie sono quelle in maggior difficoltà negli ultimi anni, per il 60,2% si tratta di straniere, in gran parte marocchine, albanesi, rumene e senegalesi.

Aumentano rispetto al passato le famiglie italiane che hanno in media tra i 45 e i 55 anni, mentre quelle straniere sono più tra i 30 e i 50 anni.

Sono in difficoltà anche le persone che vivono sole in appartamenti: il 34% vive in casa di proprietà ed il 27% in casa popolare. Si tratta, in gran parte, di anziani. Come abbiamo visto dall’analisi delle classi di età, sono in aumento gli over 65 anni, è importante sottolineare che, non sempre questa fascia d’età si rivolge alla Caritas per problemi esclusivamente personali, alle volte riferiscono i problemi dell’intero nucleo familiare: figli disoccupati o che si sono dovuti trasferire per cercare un lavoro, figli con problemi di droga o di salute mentale. Purtroppo non siamo in grado di quantificare queste situazioni, ma sono racconti frequenti e spesso i genitori chiedono aiuto per i figli proprio perché si sentono loro stessi incapaci di aiutarli.

Diminuisce sensibilmente il numero di coloro che vivono con conoscenti, un segno tangibile di come purtroppo stia diminuendo la solidarietà e aumentando invece l’individualismo. Vivere in una stessa casa con sconosciuti non è facile, seppur la condivisione aiuti la suddivisione delle spese, a volte si preferisce piuttosto vivere in strada da soli, che condividere gli spazi con altri. La scelta di vivere da soli spesso influisce dalle tante esperienze passate andate male, dalle delusioni e dai fallimenti nei rapporti relazionali.

Al Centro di Ascolto le persone trovano un volto amico, capace di ascoltare, confortare, consigliare. Riescono a uscire, almeno temporaneamente, dalla propria situazione di solitudine. Capita, a volte, che non si sia in grado di offrire ciò che la persona richiede, ma al termine del colloquio ci si senta dire “grazie” perché ci si è sentiti ascoltati. Negli ultimi anni le Caritas parrocchiali hanno attivato diversi servizi di distribuzione viveri a domicilio o semplicemente visite di compagnia, proprio per contrastare le situazioni di solitudine e per andare incontro ad anziani e disabili.

Cresce l’occupazione, ma è sempre più precaria

Negli ultimi due anni abbiamo riscontrato una leggera salita degli occupati (si attestano solo al 12%), tuttavia si tratta di opportunità lavorative che non garantiscono un reddito capace di provvedere ai bisogni economici della famiglia perché o si tratta di lavori saltuari o sottopagati.

Tra le professioni c’è chi lavora in concomitanza delle fiere per il montaggio e smontaggio degli stand o per la reception o per i parcheggi; chi fa l’aiuto-cuoco o il cameriere, ma solo nei weekend o solo d’estate; chi fa la badante, ma l’anziano viene ricoverato in struttura, oppure muore; chi fa la raccolta delle patate, piuttosto che delle olive o la vendemmia e dopo resta senza far nulla; chi fa il pescatore, ma solo per alcuni mesi; chi lavora nell’edilizia, ma per periodi limitati; chi fa le pulizie nelle case. Queste le principali occupazioni. Oltre a vivere nell’incertezza di un lavoro precario, capita che le persone riferiscano di non essere stato affatto pagate. C’è chi fa ricorso ai sindacati, chi invece opta per il silenzio, per paura che poi nessuno le prenda più a lavorare. C’è poi il problema di chi vive in strada che, spesso, viene derubato e si ritrova non solo senza soldi, ma anche senza documenti; di conseguenza fa fatica ad essere assunto regolarmente.

Per alcune di queste persone nel 2019 si aprirà la possibilità del Reddito di Cittadinanza, sarà interessante constatare se effettivamente si saranno impegnate maggiormente nella ricerca di un lavoro o se invece questo strumento le abbia sì aiutate economicamente, ma non effettivamente motivate a cercarsi un lavoro, considerando anche il fatto che spesso l’occupazione trovata non corrisponderebbe neppure alla cifra ricevuta dal RdC e quindi a cospetto di tanta fatica non ci sarebbe un guadagno dignitoso.

Titoli di studio sempre più bassi

Rispetto al tema della disoccupazione, è importante mettere in evidenza anche il titolo di studio delle persone incontrate. Dal grafico si evince chiaramente che la maggior parte ha una licenza media inferiore e quasi un 20% degli italiani ha solo la licenza elementare; dei titoli di studi così bassi non aiutano le persone a reinserirsi nel mondo del lavoro. Così come chi ha avuto esperienze professionali in ambiti non qualificati come lavapiatti, tuttofare, portiere notturno, operaio generico, badante, addetto alle pulizie, viene sostituito con facilità o comunque riceve un compenso non in grado di sostenere i fabbisogni familiari.

Spesso il Centro per l’impiego o altri enti di formazione, organizzano corsi professionali per i disoccupati, la Caritas invita le persone a seguirli, almeno per prendere una qualifica e per apprendere altre competenze, ma non sempre c’è la disponibilità a mettersi in gioco.

I migranti che non hanno ancora imparato l’italiano vengono inviati a corsi gratuiti, mentre coloro che sono accolti nei progetti CAS o Sprar hanno già l’obbligo di frequenza e terminato il progetto, di solito, hanno imparato bene la lingua e anche le principali nozioni della cultura italiana.

Il tema dell’istruzione è un tema delicato, perché spesso è il segnale di una povertà che si trasmette di generazione in generazione, frequentemente chi smette di studiare o non prosegue gli studi lo fa perché alle spalle non ha una famiglia in grado di sostenerne le spese e perché desidera trovare presto un lavoro per contribuire al reddito familiare. Il non portare a termine gli studi non fa altro che impoverire la famiglia stessa e non offre mai la possibilità di un riscatto dal punto di vista economico.

Diverse parrocchie offrono la possibilità di vivere gratuitamente l’esperienza dei campeggi ai bambini e ragazzi che non possono permetterselo, sono attivi centri educativi e dopo-scuola per diverse fasce d’età, vengono distribuiti gratuitamente materiali scolastici, alcune volte vengono pagate le rette delle mense, piuttosto che l’abbonamento del bus per raggiungere la scuola. Nella misura in cui il problema emerge si prova ad aiutare il più possibile, invece quando il ragazzo ha già scelto di smettere di studiare ed il genitore non ha insistito affinché lui continuasse gli studi e quindi non racconta al Centro di Ascolto questa situazione perché non la considera un problema, è difficile intervenire per incentivare il giovane a continuare gli studi.

Povertà e multiproblematicità

Se all’inizio di questo capitolo abbiamo osservato con positività la diminuzione numerica delle persone incontrate, da questo grafico riscontriamo come le situazioni problematiche non facciano che aumentare in qualsiasi ambito. Le persone che si rivolgono alla Caritas quasi mai presentano un solo problema, in media ne hanno tra i tre e i quattro, solitamente si tratta di: problemi economici, occupazionali e legati alla casa perché non riescono a sostenerne le spese o perché sono sprovvisti di alloggio.

Negli ultimi anni sono cresciuti tantissimo i problemi familiari: quasi 6 persone su 10, tra gli italiani, hanno problemi in famiglia. Spesso si tratta di problemi di coppia, in alcuni casi si parla anche di violenza domestica, ma questo argomento è ancora molto tabù e non sempre viene espressamente dichiarato. Crescono i rapporti conflittuali e le incomprensioni tra genitori e figli, ma anche tra fratelli dovute spesso a questioni legate all’eredità o a vecchi litigi mai riconciliati. Sovente gli equilibri si interrompono nella misura in cui muore un genitore, se il figlio viveva ancora nella casa materna e riusciva a sostenere le spese dell’affitto grazie alla pensione del genitore, nel giro di poco tempo, si ritrova a vivere in strada. Tra i problemi familiari ci sono anche le situazioni con un malato in casa, questo implica inevitabilmente che un familiare debba prendersi cura di lui con ulteriori conseguenze: impossibilità di svolgere un lavoro a tempo pieno, difficoltà nel conciliare la vita familiare con quella amicale perché poche occasioni di tempo libero, mancanza di tempo personale.

Negli ultimi anni diverse Caritas parrocchiali si sono organizzate con la consegna di pacchi viveri a domicilio, questo sistema è utile sia nel caso in cui la persona sia anziana e viva sola, che nel caso in cui si tratti proprio di un nucleo dove c’è un familiare che necessita di cure. Entrare in una casa vuol dire non solo portare del cibo, ma condividerne il dolore e le gioie, interrompere la solitudine e creare un rapporto che va molto al di là di un dialogo fatto dietro una scrivania.

Anche i problemi di salute sono in aumento, questo in parte è dovuto al fatto che negli ultimi anni la Caritas diocesana ha aperto l’Ambulatorio medico Nessuno Escluso, la Caritas di Cattolica uno sportello con un farmacista che dispensa gratuitamente farmaci da banco e la Caritas di San Martino di Riccione ha da poco inaugurato un ambulatorio infermieristico, quindi sono stati inevitabilmente intercettati più problemi di salute. È pur vero che nel momento in cui permangono situazioni di disagio economico, anche la salute ne risente e se non si è nelle condizioni di pagarsi le cure mediche anche malattie passeggere rischiano di aggravarsi o diventare croniche. A conferma di questo i dati nazionali (Istat e Censis) parlano di 20 milioni di italiani non in grado di sostenere le spese mediche.

Crescono anche i problemi relativi all’immigrazione, questi riguardano sia profughi che immigrati in Italia da tanti anni che non hanno più i requisiti per rinnovare il Permesso di Soggiorno. Le nuove politiche non hanno favorito l’integrazione di coloro che sono da poco sbarcati su suolo italiano, anzi, sono in atto respingimenti ed accordi per non farli arrivare, come se non fossero persone libere di scegliere dove andare, ma animali obbligati a stare in un posto anche se questo non rispetta i diritti umani. Sono stati interrotti ed ostacolati i percorsi di accoglienza, i migranti per motivi umanitari non potranno rinnovare il Permesso se non per motivi di lavoro, diversi richiedenti asilo hanno ricevuto il diniego o l’espulsione, ma non sono nelle condizioni di tornare in patria. Se le cose non cambieranno e questo Decreto Sicurezza non verrà modificato in qualche modo in quanto anti costituzionale, il rischio è non solo che nel 2019 le Caritas saranno molto frequentate da migranti che chiederanno aiuto e non sapranno dove andare, ma soprattutto è che nelle città si vedranno in strada giovani uomini che non trovando lavoro, ed essendo privi di documenti, probabilmente saranno invogliati ad entrare in circuiti di criminalità organizzata per riuscire a sopravvivere.

Infine crescono le situazioni di dipendenza, con molta probabilità sottostimate perché non sempre intercettate o dichiarate. La zona che ne rileva di più rispetto alle altre è Riccione, si tratta sia di problemi di droga che di alcool. Mentre restano nascoste le dipendenze da gioco, nonostante siamo certi che siano presenti perché i bar e i tabacchi che dispongono di “gratta e vinci” o slot machine, sono sempre pieni, così come i negozi per le scommesse o i Bingo.

Le risposte delle Caritas

L’ascolto è certamente la risposta principale che offre la Caritas, se non ci fosse ascolto non esisterebbe nessun altro servizio, perché le risposte vengono dal dialogo, dall’incontro con l’altro che, in un momento di fragilità chiede prima di tutto un cuore disponibile ad accogliere il suo dolore, la sua rabbia, la sua frustrazione, ma anche il suo silenzio.

Un grosso aiuto che viene offerto alle famiglie e alle persone è il sostegno alimentare: mensa, pacchi viveri, “Giro nonni”, Emporio Solidale, sono tutti strumenti che garantiscono a coloro che chiedono aiuto, di non restare privi di cibo. Questo è possibile non solo al programma ministeriale Agea che deriva da Fondi Europei e permette alle Caritas di ricevere alimenti gratuiti (previo domanda), ma soprattutto grazie alle tante donazioni di supermercati, ambulanti, mense, ristoranti, forni, pasticcerie, agricoltori, dalla Capitaneria di porto che dona pesce intercettato da traffici illegali, ma anche da privati cittadini che, continuamente, donano prodotti in grado di offrire così una dieta variegata con cibi freschi e locali a coloro che altrimenti non potrebbero permettersi nulla. Inoltre, dal mese di dicembre, le Caritas del distretto sud, in accordo con i Comuni del territorio, stanno donando alle famiglie un buono da spendere nei supermercati per arricchire il pacco viveri dato dalla parrocchia che spesso è composto solo da prodotti a lunga conservazione.

Persone Interventi Media servizi a persona
Ascolto 4.846 39.624 8,2
Pasti in mensa 1.359 110.842 81,6
Pacchi viveri 1.803 16.620 9,2
Viveri a domicilio compreso “Giro nonni” 144 17.516 121,6
Alimenti e prodotti per neonati 96 527 5,5
Docce 678 9.717 14,3
Indumenti 1.722 8.238 4,8
Dormitorio 659 9.058 13,7
II accoglienza 21 2.716 129,3
Farmaci 386 1.000 2,6
Materiale scolastico 71 121 1,7
Sussidi economici € 146.541
Buoni pasto € 1.690
Lavoro (Fondo per il Lavoro) 50 18 0,4
Carrelli spesa (Emporio Solidale) 335 2.219 6,6

Per una persona che vive in strada aver la possibilità di farsi gratuitamente una doccia, è un grande sollievo, ridona dignità e permette di presentarsi in ordine nel caso in cui si riesca ad avere l’opportunità di un colloquio di lavoro. Si coglie qui l’occasione per ringraziare l’Aeroporto di Rimini per le tante donazioni di bagnoschiuma e shampoo, recuperati dal deposito degli oggetti che non possono salire a bordo.

Alle docce seguono i vestiti, arrivano abiti di tutti i tipi, per grandi e piccini, questi vengono sempre selezionati perché purtroppo non sempre sono puliti e ordinati, a volte arrivano indumenti rotti o macchiati e questi non vengono dati alle persone, perché non sarebbe dignitoso nei loro confronti. Si tratta in gran parte di donazioni di privati cittadini, ma a volte capitano anche negozianti che o chiudono l’attività oppure scelgono di rinnovare l’assortimento e donano alla Caritas. Grazie a Dio la generosità non manca.

La Caritas diocesana di Rimini e quella di Cattolica dispongono di posti letto, le persone possono accedervi solo previo colloquio al Centro di Ascolto, come minimo vengono offerte gratuitamente 7 notti, ma spesso si varia in base alle esigenze e alle situazioni di ciascuna persona. Le camere sono ospitali e al massimo ci sono 4 letti per stanza, questo perché si vuole offrire non semplicemente un posto dove posare il capo, ma un luogo accogliente e dignitoso.

Con Seconda Accoglienza si intende la possibilità di entrare in progetti personalizzati che prevedono una permanenza più lunga rispetto alle 7 notti. Molto spesso sono progetti che coinvolgono Assistenti sociali e altre realtà del terzo settore.

I farmaci vengono distribuiti presso la Caritas diocesana, la Caritas di San Martino di Riccione e la Caritas parrocchiale di Cattolica, solo da personale qualificato che svolge questo servizio a titolo di volontariato.

Il materiale scolastico viene distribuito da diverse parrocchie, ma non tutte registrano il servizio sul computer, per cui è probabile che il dato sia sottostimato.