Case Famiglia Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII
La storia
La prima casa famiglia della nostra comunità è stata aperta il 3 luglio 1973 a Coriano in provincia di Rimini.
La nostra comunità è presente a Rimini con realtà di accoglienza residenziale di vario tipo. Le case famiglia (riconosciute e autorizzate come tali dalla regione Emilia Romagna) in provincia di Rimini sono 26 e sono caratterizzate da figure di riferimento stabili e continuative: solitamente è una coppia a gestire la casa. Alle case famiglia si aggiungono altre 19 realtà d’accoglienza residenziale (2 Comunità Educante con i Carcerati, 6 Case di accoglienza per Migranti, 1 casa per minori stranieri non accompagnati, etc…).
Nelle nostre case famiglia, e varie realtà di accoglienza, vivono 24 ore su 24, 65 persone che fanno parte della Comunità Papa Giovanni XXIII, si tratta di persone che hanno scelto di condividere tutta la propria vita con chi ha bisogno. A queste si aggiungono i volontari che ci sostengono con il loro aiuto e il loro tempo, alcuni vengono per far fare i compiti ai bambini o insegnare italiano nelle case per migranti, altri per aiutare nelle faccende domestiche. È molto difficile quantificare il numero complessivo di volontari che condividono e sostengono concretamente la nostra quotidianità.
I dati
Durante l’anno 2017 sono stati accolti nelle nostre case 402 persone di cui:
- 41 minori (senza genitori)
- 8 Mamme con bambini
- 180 italiani e 222 stranieri
Cercando di fare una fotografia delle vulnerabilità riscontrate nel 2017 possiamo suddividerle come segue:
- 14% handicap fisico o psichico
- 15% misura di detenzione alternativa al carcere (Comunità Educante con i Carcerati) o lavori socialmente utili
- 23% emarginazione sociale
- 9% situazioni di forte disagio familiare
- 40% migrazione (tra cui richiedenti asilo e vittime della tratta di esseri umani)
È fondamentale sottolineare che circa 1/3 delle persone accolte presentano più di una vulnerabilità (ad esempio handicap sia fisico che psichico, oppure handicap psichico e disagio familiare, etc…) nella maggior parte dei casi è impossibile stabilire quale sia la vulnerabilità “prevalente”.
I cambiamenti
- Rispetto ai minori nessun cambiamento rilevante, piuttosto sono sempre maggiori le richieste di aiuto a nuclei familiari interi dovute a situazioni di grave disagio sociale (sfratto, disoccupazione). A questi nuclei fatichiamo a dare risposta. Abbiamo un progetto di albergo sociale, ma è riservato ai residenti del comune di Rimini pertanto non sufficiente a garantire risposte adeguate ai reali bisogni presenti sul territorio.
- Sono aumentate anche le richieste di adulti sui 50/60 anni, sempre con forti disagi di tipo sociale e psichico che difficilmente riusciamo a collocare nelle nostre realtà di tipo familiare (case famiglia o famiglie affidatarie), ma con fragilità tali per cui nemmeno la collocazione in contesti tipo Capanna di Betlemme, pare adeguata. Si intende infatti valutare altro tipo di progettualità.
Il rapporto con le famiglie d’origine
Con le famiglie dei minori accolti abbiamo rapporti subordinati al progetto concordato con i Servizi sociali che seguono i vari casi. Pertanto dove è possibile si cerca di collaborare al fine di evitare conflitti e tensioni che danneggerebbero ulteriormente i minori. Pur conoscendo i limiti dei familiari, che sono spesso la causa degli allontanamenti, si opera per favorire una relazione positiva con i bambini.
Rispetto agli accolti adulti, se inseriti in collaborazione con le Asl (handicap fisico, psichico, comunità terapeutiche…), i rapporti con le famiglie di origine sono regolati in accordo con i Servizi sociali. In ogni caso si cerca sempre di mantenere relazioni positive e costanti laddove è possibile e nel caso in cui la famiglia sia presente. Si ritiene fondamentale conservare il legame con le proprie origini, tener presente la propria storia, valorizzare anche i legami difficili e che hanno creato disagio. Non solo nel caso dei minori, ma anche degli adulti con disagi di varia natura. Le relazioni con le famiglie di origine possono essere il terreno più delicato sul quale si cammina nel percorso dell’accoglienza, ma riconoscendone il valore si cerca di prestarvi la giusta attenzione, lo spazio e il tempo di cui necessitano.